A Gorizia c'era «il nostro muro di Berlino»: famiglie divise, un popolo massacrato, ventimila persone gettate nelle foibe, silenzio. Un «muro di oblio e di imbarazzo» che per mezzo secolo ha circondato politicamente Istria e Dalmazia. Ma ora basta, dice Sergio Mattarella, è il momento di ristabilire la verità. «Quel territorio, intriso di storie e civiltà, condivise lo stesso tragico destino di molti Paesi dell'est che, dopo la sconfitta del nazifascismo, si videro negate le aspirazioni alla libertà, alla democrazia e all'autodeterminazione dall'instaurarsi della dittatura comunista imposta dall'Unione Sovietica». È stata, aggiunge Antonio Tajani, «pulizia etnica, una delle pagine più buie della nostra patria».
«Dittatura comunista». Nel Salone dei Corazzieri, celebrando la giornata del ricordo nel tentativo di ricostruire una memoria condivisa, il capo dello Stato non fa sconti né giri di parole. «La ferocia che si scatenò contro gli italiani non può essere derubricata sotto la voce di atti, comunque ignobili, di vendetta o di giustizia sommaria contro i fascisti occupanti, il cui dominio era stato intollerante». No, si è trattato di «barbarie», non di resistenza. Cacciati i tedeschi, sono arrivati gli uomini di Tito che non hanno guardato per il sottile. «Internamento in campi di prigionia, sparizioni nelle foibe, uccisioni, torture colpirono funzionari e militari, sacerdoti e intellettuali, impiegati e semplici cittadini che non avevano nulla a che spartire con il regime di Mussolini». Nel mezzo sono finiti pure «partigiani e antifascisti». La loro unica colpa, racconta il presidente, «era quella di essere italiani». Di battersi «per un futuro di democrazia e libertà». Di ostacolare l'annessione di quelle zone, ripete Mattarella, «sotto la dittatura comunista».
Terre «martoriate» ma un tempo «vivacissime». Per secoli istriani e giuliani sono stati un esempio di convivenza tra popoli e religioni. Poi hanno avuto «la tragica sorte» di vedere «affiancati i due totalitarismi del 900». La Risiera di San Sabba, il campo di concentramento nazista, dista pochi chilometri dalla Foiba di Basovizza «dove si esercitò la ferocia titina contro la nostra comunità», simboli di una «lugubre geografia dell'orrore». Ebbene, quelle vicende costituiscono «un trauma doloroso per la nascente Repubblica, una tragedia che non può essere dimenticata» o minimizzata. «I tentativi di negazione o di oblio - dice ancora il capo dello Stato - sono un affronto alle vittime e un danno alla coscienza collettiva di una nazione». Non che oggi vada meglio: Ucraina, Medio Oriente, conflitti etnici. «Stiamo assistendo alla rinascita dell'odio, del nazionalismo esasperato, del razzismo. La Giornata del ricordo, dopo troppi anni di rimozione, è importante però non sufficiente». Però almeno adesso «abbiamo un antidoto, l'Unione Europea, che con tutti i suoi ritardi rappresenta il ripudio della barbarie e delle dittature». Chiude con ottimismo. «Non esistono più barriere e muri, ma strade e ponti».
Anche il ministro degli Esteri è «preoccupato per le nuove ombre che si addensano sulla pace: l'ordine internazionale basato sulle regole è in discussione in tante aree del mondo». La chiave, pure per Tajani, sta nel seguire lo spirito di Adenauer, Schuman e De Gasperi. E nel non dimenticare.
«Abbiamo abbattuto il muro del silenzio, grazie al governo Berlusconi che nel 2004 istituì questa giornata, ma le foibe non sono l'unico esempio di pulizia etnica compiuto dall'esercito jugoslavo, ispirato da un'ideologia sconfitta dalla storia». E ora di fronte a Ue è Nato ci sono «nuove terribili sfide».
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