Il primo viaggio di un Papa in Mongolia non ha solo un intento pastorale - ovvero visitare un piccolo gregge di 1.500 cattolici, minoranza di un Paese a maggioranza buddista - ma anche quello di dialogare con un interlocutore, la Cina, decisivo sia per questioni ecclesiastiche che politiche e geostrategiche. Il motto del viaggio parla chiaro: «Speriamo insieme». È iniziato ieri il 43esimo viaggio internazionale di Papa Francesco, giunto nella capitale mongola Ulan Bator in mattinata. Nel Paese, grande oltre cinque volte l'Italia ma con una popolazione di appena tre milioni e mezzo di abitanti, Francesco è arrivato con un pensiero alla Cina, uno dei colossi - la Cina Popolare a Sud e la Federazione Russa a Nord - che racchiude interamente nei loro confini il territorio mongolo.
«La Mongolia sembra non finire e gli abitanti sono pochi, un popolo piccolo di grande cultura», ha subito detto il Pontefice a bordo del volo Alitalia che lo portava nel Paese asiatico. E proprio durante il sorvolo, il Papa ha inviato un messaggio al presidente cinese Xi Jinping che ha immediatamente fatto comprendere il senso del viaggio. «Assicurandovi la mia preghiera per il benessere della Nazione, invoco su tutti voi le benedizioni divine dell'unità e della pace», ha scritto il Papa nel messaggio che vuole essere di buon auspicio anche per i rapporti tra Santa Sede e chiesa cattolica da una parte e governo di Pechino dall'altra.
Replica immediatamente la Cina, dicendosi «pronta a continuare a lavorare con il Vaticano per impegnarsi in un dialogo costruttivo, migliorare la comprensione, rafforzare la fiducia reciproca», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, nel suo briefing con la stampa, aggiungendo che Pechino «promuoverà il processo di miglioramento delle relazioni tra i due Paesi».
Al suo arrivo all'aeroporto di Ulan Bator, Francesco è stato accolto dal ministro degli Esteri, Batmunkh Battsetseg, e dal cardinale Giorgio Marengo, missionario della Consolata, con i suoi 49 anni il più giovane porporato del Sacro Collegio, che lo accompagnerà in questi giorni in Mongolia.
Il viaggio entra nel pieno oggi con gli incontri con i vertici dello Stato e le autorità del Paese, il faccia a faccia con il presidente del Grande Hural e poi con il primo ministro, quindi l'incontro con i Vescovi e i missionari.
Domani, invece, la grande messa si terrà alla Steppe Arena di Ulan Bator, dove - tra l'altro - saranno presenti pellegrini cattolici provenienti dalla Cina, oltre che dalla Russia e da altri Paesi confinanti.
Ma c'è anche un brutto segnale che arriva da Pechino. Secondo la rivista dei gesuiti statunitensi America «nessun vescovo della Cina continentale ha ricevuto dalle autorità di Pechino il permesso di recarsi a Ulan Bator per questo storico evento». L'agenzia Asianews ricorda che «nella vicina provincia cinese della Mongolia interna risiede una vivace comunità cattolica e proprio uno dei suoi vescovi monsignor Antonio Yo Shun, vescovo di Jinin nel 2019 fu indicato come il primo dei sei frutto dell'Accordo provvisorio tra Roma e Pechino sulla nomina dei vescovi». Ci saranno, invece, il prossimo cardinale Stephen Chow con una delegazione di 30 cattolici di Hong Kong e il vescovo di Macao, monsignor Stephen Lee Bun-sang.
«Considerate le buone relazioni tra Mongolia e Cina, l'ordinanza sembra
riflettere non solo il difficile stato attuale delle relazioni sino-vaticane, ma anche la paura del Partito comunista cinese nei confronti della religione, in generale, e del cristianesimo, in particolare», scrive ancora America.
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