«L'inaugurazione di Notre Dame domani, alla presenza di capi di Stato, tra cui il presidente eletto americano Donald Trump e il presidente italiano Sergio Mattarella, sarà l'ultima occasione in cui Emmanuel Macron avrà l'illusione di essere un grande presidente». Ne è convinto Marc Lazar, professore emerito di Storia e Sociologia politica a Sciences Po (Parigi) e titolare della cattedra di Relazioni italo-francesi per l'Europa alla Luiss, che dalla Francia sta seguendo gli ultimi sviluppi della peggiore crisi politica del Dopoguerra.
Macron insiste che non si dimetterà. Potrebbe essere costretto?
«Nonostante le spinte, non se ne andrà. E niente lo costringe a farlo. L'unica possibilità sarebbe una procedura di destituzione voluta dal Parlamento. La chiede la France Insoumise, ma gli altri gruppi parlamentari non la vogliono».
Perché ha parlato ieri alla nazione senza fare il grande annuncio sul nuovo premier?
«Le trattative sono in corso. Intanto ha voluto fare un discorso per accusare di irresponsabilità chi ha fatto cadere il governo Barnier, ma soprattutto per rassicurare i francesi sulla continuità dei servizi pubblici, per garantire che pensioni e stipendi saranno pagati, che lo Stato esiste ed è presente. In Francia c'è inquietudine, una situazione inedita, come quella in cui si trovava l'Italia fino al 2022, fino a quando le cose non sono cambiate con l'avvento di Giorgia Meloni».
Il più quotato nel toto-premier sembra François Bayrou, che ieri ha pranzato con Macron.
«Ma attenti al gioco del presidente, che ama sfoderare l'effetto sorpresa. In ogni caso Bayrou è un nome che può trovare consenso in Aula. Si tratta di un vero centrista, un europeista moderato sensibile ai temi sociali condivisi sia dalla sinistra sia dal Rassemblement National».
In ballo ci sono anche altri nomi. Chi le sembra più quotato?
«Si parla del ministro degli Interni Bruno Retailleau, che è molto più a destra, considera le politiche di Giorgia Meloni sull'immigrazione un esempio da seguire e per questo può attrarre il Rassemblement National di Marine Le Pen. Credo meno nel nome del ministro della Difesa Sébastien Lecornu, troppo vicino a Macron. Qualche chance potrebbe avere anche l'ex premier ed ex socialista Bernard Cazeneuve».
La sfiducia a Barnier ha definitivamente logorato Macron?
«In realtà questa crisi lo ha rimesso nel gioco politico. Lui ha di nuovo la mano e deciderà, anche se totalmente indebolito visto che il 59% dei francesi vuole le sue dimissioni e lui è odiato come mai un presidente della Quinta Repubblica, un rigetto quasi fisico da parte dei francesi. E poi l'obiettivo ultimo del leader dell'estrema sinistra Jean-Luc Mélenchon, che lo dice apertamente, e di Marine Le Pen, che lo sussurra, sono le sue dimissioni anticipate».
La Francia rischia di avvilupparsi in un susseguirsi di sfiducie e crisi fino al luglio 2025, quando si potrà rivotare?
«Sì, è questo il rischio ed è certo che si tornerà a votare nell'estate del 2025 o a settembre».
È una crisi di breve termine o di lungo termine?
«È una crisi di lungo termine. Per la quale i francesi pagheranno un prezzo alto, in termini di conseguenze economiche e sociali forti. E che aumenta il livello già enorme di diffidenza politica. Gli ultimi dati dicono che l'86% dei francesi non ha fiducia nei partiti politici, il 74% non ne ha nella figura del capo dello Stato, il 78% nei deputati».
Mélenchon potrebbe mai arrivare all'Eliseo? E Marine Le Pen?
«Per Mélenchon è impossibile. È il personaggio politico più rigettato dai francesi, il suo partito fa più paura del Rn. Le Pen si giocherà la partita anche se agli occhi degli elettori di centrodestra, con la sfiducia a Barnier, è risultata meno credibile e responsabile. Ed è questo l'ultimo ostacolo che le rimane per arrivare alla presidenza».
L'Italia è ormai il riferimento stabile in Europa?
«È così. Un rovesciamento politico incredibile, alla luce delle crisi politiche in Germania e in Francia.
Con il centrodestra al potere, e Giorgia Meloni alla guida del governo, l'Italia ha una leader forte, che approfitta delle divisioni dell'opposizione, e garantisce al Paese stabilità. Ma attenzione a chi si rallegra dei guai francesi. Le difficoltà di Parigi hanno inevitabili conseguenze a livello europeo, con la guerra in corso in Ucraina e le sfide che arriveranno con l'amministrazione Trump».
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