Cauto ottimismo, si sarebbe detto una volta. È quello che il ministro dell'Economia, Daniele Franco, ha dispensato dinanzi all'assemblea dell'Abi (Associazione bancaria italiana) davanti ai banchieri italiani e al governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco. Sul quadro macroeconomico pesano notevoli rischi come l'inflazione e l'andamento ondivago dei mercati, ma non è questo il momento di abbandonarsi allo scoramento. «La crescita non si arresterà», ha detto Franco aggiungendo che «nel secondo trimestre la produzione industriale è aumentata, secondo le stime del ministero, del 2%, tanto da far crescere il Pil in modo «robusto». Per questo la crescita acquisita per il 2022, quella che si otterrebbe se nei trimestri successivi il Pil rimanesse invariato, è ora oltre il 3%, superiore al 2,6% stimato dall'Istat alla luce dei soli dati dei primi tre mesi.
Il governo ha poi confermato per il 2022 «un deficit/Pil al 5,6% e stima un progressivo calo del disavanzo «fino al 2025 quando dovremmo tornare a registrare un avanzo primario». Per i prossimi anni, ha proseguito Franco, «è cruciale che una riduzione graduale ma decisa del rapporto rimanga una priorità della politica di bilancio. Ciò richiede prudenza fiscale e un tasso di crescita soddisfacente». Insomma, niente scostamento di bilancio, i nuovi aiuti anti-inflazione saranno sempre più selettivi sulla base del reddito. Infine, la questione di maggiore attualità. «La riduzione del cuneo fiscale è prioritaria», ha sottolineato perché uno degli obiettivi a cui l'Italia deve puntare per far fronte ai possibili rischi di «battuta d'arresto» dell'economia è «accrescere il tasso di occupazione che è particolarmente basso, guardando ai giovani, alle donne e al Mezzogiorno». Sarà uno dei punti fermi della legge di Bilancio il cui cantiere si aprirà ufficialmente martedì prossimo con la convocazione dei sindacati a Palazzo Chigi.
Il problema è che non tutti nel governo sembrano remare nella stessa direzione. «La nostra proposta sul salario minimo sarà sul tavolo con le parti sociali, che daranno poi la propria valutazione», ha anticipato ieri il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, aprendo di fatto un nuovo fronte sia nella maggioranza di governo che con Confindustria che ormai lo accusa di parteggiare apertamente per Cgil, Cisl e Uil a dispetto del proprio ruolo istituzionale.
La sortita di Orlando rischia di spaccare non solo la maggioranza, ma anche di esacerbare gli animi nell'opinione pubblica. Da una parte, infatti, non si può non notare come ieri il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, abbia evidenziato come sul tema inflazione vi siano «indicazioni confortanti» nel medio-lungo termine anche perché nel nostro Paese non si è ancora avvitata la spirale prezzi-salari temuta dalle banche centrali. Anche se lo stop all'import di gas potrebbe determinare uno scenario recessivo, è fuori discussione la normalizzazione «graduale» della politica monetaria della Bce, che potrà avvenire «senza causare una brusca frenata dell'economia». Il che, naturalmente, implica prudenza (e un po' di rigore) nelle politiche di bilancio.
Peccato che l'Istat nel suo rapporto annuale, oltre a confermare come detto le stime di crescita al +2,6%, ha sottolineato che se i rinnovi contrattuali nel secondo semestre non terranno conto dell'adeguamento
all'inflazione al netto dell'energia (stimata al 4,7% per il 2022), «le retribuzioni contrattuali in termini reali, a fine 2022, tornerebbero sotto i valori del 2009». Musica per le orecchie di Orlando e dei suoi simpatizzanti.
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