Quel fronte della governabilità che Palazzo Chigi ha emarginato

Nel cortile di Montecitorio, unica area "libera" di una Camera dei Deputati organizzata militarmente al tempo del Covid-19, il renziano Michele Anzaldi, a cui la mascherina serve soprattutto a nascondere l'espressione sconcertata, parla di un presente politico dove la politica non c'è più

Quel fronte della governabilità che Palazzo Chigi ha emarginato

Nel cortile di Montecitorio, unica area «libera» di una Camera dei Deputati organizzata militarmente al tempo del Covid-19, il renziano Michele Anzaldi, a cui la mascherina serve soprattutto a nascondere l'espressione sconcertata, parla di un presente politico dove la politica non c'è più: «La fotografia più nitida è la cantata del romanzo l'Isola del Tesoro, quindici uomini sulla bara del morto e una bottiglia di rum. Questa è la politica di oggi: sono disperati e ubriachi. Non c'è politica e all'orizzonte ci sono le rivolte sociali che travolgeranno sia la maggioranza, sia l'opposizione. Renzi dovrebbe tentare di organizzare un'area più ampia, un ponte tra maggioranza e opposizione. Ma non lo fa». Seduto su una panchina il piddino Umberto Del Basso De Caro non è meno perplesso: «La situazione è drammatica e l'asse di un possibile governo all'altezza della crisi non è in questa maggioranza: né tra i grillini, né in un Pd guidato da funzionari del vecchio Pds che sono rimasti tali». Altro piddino, altro turbamento. Spiega il toscano Umberto Buratti: «Lo schieramento del governo del buonsenso va da Renzi fino a Giorgetti, o meglio a Zaia. Ci sono più affinità in quel segmento parlamentare che nella maggioranza. Dentro il governo c'è addirittura anche il partito più filocinese d'occidente, i 5stelle».

Fin qui siamo tra le file della maggioranza. Ma lo sconcerto per una fase politica in cui nulla ha senso, regna pure nell'opposizione. Giancarlo Giorgetti, da settimane per non dire da mesi, è incavolato nero. «Qui confida mentre entra a Montecitorio ci misurano la febbre, invece, dovrebbero misurarci la pressione». Subito dopo si intrattiene prima con qualche deputato di Forza Italia, poi con il renziano Giachetti. Lo sfogo è sempre lo stesso: «Matteo (Salvini, ndr) non mette più a fuoco né i problemi, né il momento». Serpeggia la delusione per le manifestazioni del giorno prima: grida senza progetto. E anche tra gli azzurri c'è chi sogna altro, magari una confederazione delle «terre di mezzo». «Sarebbe una figata sospira il forzista Alessandro Cattaneo collegare tutti quelli che ci sono tra Giorgetti e Renzi, passando per Berlusconi, Calenda e la Bonino, ma ci sono gli egoismi, i personalismi». «Sarebbe la cosa migliore gli va dietro Giorgio Mulè l'unico luogo politico dove albergherebbe lo spirito costituente, ma è complicato e si finirà per sbattere».

Così nell'impotenza generale va avanti con lo stesso copione un governo che racconta una storia che non c'è: ieri sera il premier Conte ha illustrato in Tv l'ennesimo capitolo del romanzo «Giuseppi nel Paese delle meraviglie», autore Rocco Casalino. Parla di miliardi di euro che non arrivano mai e quelli che giungono alla meta sono solo spesa assistenziale, con il paradosso che il 10% dei sussidi finisce anche nelle tasche «sbagliate», cioè di chi non ne ha bisogno. Nessun aiuto, invece, al sistema produttivo: il credito alle imprese si è fermato al mese di marzo. Il capo dello Stato reclama lo spirito «costituente». Solo che per verità storica l'interfaccia dello spirito «costituente» sono sempre stati governi di unità nazionale: quando De Gasperi lasciò fuori Togliatti per accontentare Washington, in capo a qualche mese si arrivò alle elezioni del '48 e tramontò lo spirito costituente; e durante i governi di solidarietà nazionale Moro e Berlinguer non fecero un governo insieme solo per non scontentare Mosca e Washington, un'attenzione che non salvò la vita allo statista dc. È paradossale, per non dire assurdo, che oggi, con una crisi che registra la peggior caduta del Pil dall'Unità d'Italia ad oggi, senza nessun condizionamento internazionale, si parli di spirito costituente ma non di governi di unità nazionale. Addirittura due settimane fa Mattarella ha fatto circolare l'opzione secca, o questo governo o le elezioni, proprio mentre Luigi Di Maio ad ogni intervista fa capire che il governo Conte non è l'ultima spiaggia di questa legislatura.

Insomma, per citare Vasco Rossi, è inutile dare un senso a qualcosa che non ce l'ha. Non ce l'ha neppure per gli italiani. Sul tavolo del Cav è arrivato un sondaggio dirompente: al 58% degli italiani, in vario modo, non piace come si comporta il governo; ma nel contempo al 62,5% degli italiani non convince la politica dell'opposizione. Regna la più grande confusione: Forza Italia partecipa alle manifestazioni di piazza dai toni accesi contro Conte e il giorno dopo Berlusconi predica responsabilità e dice no al governo di unità nazionale. Non c'è un filo conduttore.

Eppure basterebbe confederare o almeno creare un comune sentire che metta, appunto, insieme le «terre di mezzo». E non sarebbe difficile: sono poche le distanze sui temi tra Giorgetti e Renzi, tra Berlusconi, Calenda o la Bonino. Manca, però, il federatore dell'area del buonsenso e il Paese va a ramengo. In quelle terre ognuno va per conto suo. Chi ci ha provato, come Renzi, batte altre strade: «Non mi affascinano più le formule, ma i contenuti. Ad esempio, una tassa del 10-15% per chi rivuole rimettere in circolazione il contante sommerso. Il piano shock. E, ancora, una legge elettorale maggioritaria. Mettere insieme l'area centrale? Sono tutti accecati dalle ambizioni. Gli unici che non lo sono, siamo io e il Cav che siamo già stati premier». Non si fa illusioni neppure Carlo Calenda: «Ho parlato con tutti. Con Giorgetti. Con il Cav attraverso Letta. Ma il primo non ha le palle, Berlusconi non si muove, rimane attaccato a Salvini e alla Meloni e ora ha un Tajani che pensa di essere Metternich. La Bonino pensa a un seggio grazie al Pd, Zingaretti sta zitto perché se parla non conta niente o è divisivo. E i miei un'alleanza solo con Renzi non la vogliono. Eppure basterebbe un cenno del Cav per avere un governo di unità nazionale».

Così tutto resta fermo, sommerso dalla retorica. Tutte le uscite dei protagonisti di quest'area sono in solitaria: Renzi immagina di appoggiare Zaia nelle elezioni in Veneto, ma il Doge liquida il tutto come «leggenda metropolitana». «Eppure si inalbera Calenda se si concordasse una linea comune, l'area liberal popolare potrebbe dare le carte». E, invece, le carte le dà Conte a suo modo. «L'ennesimo discorso del premier alla Nazione lo liquida Renato Brunetta è stata la solita acqua fresca. Non ha parlato del Piano Nazionale per le Riforme per cui è un'illusione scriverlo insieme. L'apertura all'opposizione sembra la solita presa per il c... La proposta degli Stati Generali dell'Economia ripete la liturgia grillina. Dell'idea di dare alcune commissioni parlamentari di controllo all'opposizione, come la Bilancio, non se ne parla proprio. Eppure noi gli abbiamo dato 80 miliardi di scostamento dal bilancio con cui ha finanziato tre decreti.

Ma vadano in quel posto!». Già, solita sceneggiatura, quando basterebbe un'azione comune delle forze del «buonsenso» per creare un «coupe de théâtre». E, invece, niente: «Quindici uomini sulla cassa del morto e una bottiglia di rum...».

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