Quando aveva scelto di non ricandidarsi alle prossime elezioni politiche, l'ex segretario del Pd e fondatore di Articolo Uno Pier Luigi Bersani, con molta signorilità, aveva detto: "Ho fatto 20 anni il parlamentare da ministro, da segretario e da deputato semplice. Penso che basti. A settant’anni consiglio a tutti di avere disponibilità e non aspirazioni".
Forse è proprio per l'età che avanza che la memoria inizia anche a giocare brutti scherzi. È successo nell'ultima puntata di DiMartedì, su La7, durante un confronto con la senatrice di Forza Italia Licia Ronzulli e il giornalista di Libero Alessandro Giuli. Bersani, dopo aver provocato Giorgia Meloni sull'antifascismo chiedendole di accettare di festeggiare il 25 aprile, si è soffermato sulla natura politica del partito di Silvio Berlusconi: "È stato capo del centrodestra per 20 anni. Ma allora perché ci ritroviamo così pochi liberali e tanti conservatori e demagoghi? Io ho la mia risposta: perché non è di centro neanche Berlusconi". Poi incalza la Ronzulli: "Lei mi deve dire una sola riforma liberale che ha fatto Berlusconi. Una. La verità è che Berlusconi è anti-tasse e anti-magistratura e promette un milione di posti di lavoro e di varie cose. Berlusconi per 20 anni è stato il volto affascinante di una cosa che non è liberale. Punto".
Tra le repliche ci sono quella della Ronzulli che cita la riforma Biagi e soprattutto quella di Giuli, che facendo un passo indietro sul percorso che ha portato allo scenario attuale non solo nel mondo della destra ma della politica in generale, ricorda a Bersani una cosa che forse gli era sfuggita: "È proprio perché c'è stato un deficit di democrazia prima che ora la Meloni che non ha partecipato ai governi poliamorosi riscuote successi". Poi, riferito a Bersani: "Lei è testimone della vittoria mutilata del principale partito della sinistra italiana nel 2013". Bersani ribatte: "Non approfitti della mia umiltà. Io sono arrivato primo, m'è mancato qualche voto al Senato ma coi voti miei la sinistra ha potuto governare 5 anni". "Da sola? - dice Giuli - O con chi? Con Berlusconi".
Bersani, impallidito, sussurra: "No, con Alfano". "No, ricorda male - conclude Giuli - Prima c'è stato l'intergruppo fatto dall'allora Presidente Giorgio Napolitano, poi avete escluso Berlusconi dalla scena politica tramite un voto al Senato".
In effetti, prima della stagione della maggioranza ribattezzata “Abc”, dalle iniziali dei segretari Alfano, Bersani e Casini (comunque un poliamore), ci fu lo stallo post-elettorale che costrinse i partiti a dover trovare un accordo tra loro, imbeccati da Napolitano. Il 2013 fu l'anno del primo exploit del Movimento 5 Stelle e, quasi in previsione di ciò che accadde negli anni successivi, il primo a cercare di portarli al governo pur di evitare un accordo con Berlusconi che allora era ancora leader del Pdl fu proprio Bersani, in particolare durante un incontro trasmesso in streaming com'era il primo stile grillino. Poi non se ne fece niente e, con le dimissioni di Bersani da segretario Pd successive alla mancata elezione di Prodi al Quirinale, Napolitano incaricò il suo vice Enrico Letta di formare un nuovo esecutivo, inizialmente basato sul sostegno di Pd e Pdl.
Poi arrivarono Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, anche loro costretti comunque a dover trovare alleanze di vario tipo con partiti esterni al centrosinistra, in quei casi, sì, guidati da Angelino Alfano che nel novembre 2013 uscì dal Pdl. Nella finestra temporale tra le elezioni primaverili e l'autunno, comunque, l'interlocutore era Berlusconi.
E anche dover cercare accordi con Alfano non rende certo meno poliamoroso il percorso di "apertura alle ammucchiate" che iniziò proprio da quell'insuccesso politico di Bersani. Forse non è così duro e puro come gli sarebbe piaciuto pensare in vista della pensione. O forse l'aveva solo dimenticato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.