Gaza, la militare rapita: "Fate presto"

Hamas diffonde il video della 19enne Albag in lacrime. Torna la protesta in piazza

Gaza, la militare rapita: "Fate presto"
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Nel secondo giorno di negoziati, ripresi ieri a Doha con la mediazione del Qatar, un video diffuso da Hamas ha innescato qualcosa nelle trattative «indirette» tra il governo israeliano e la leadership islamista. I colloqui dovrebbero portare a una tregua a Gaza; più duratura di quella dello scorso novembre. E al rilascio di altri ostaggi rapiti da Hamas nel blitz del 7 ottobre 2023. Tra loro, ci sono anche svariati militari. Come Liri Albag, la soldatessa 19enne protagonista del girato diffuso dai terroristi: la riprendono dalla prigionia in un nuovo sfoggio della cinematografia del terrore sulla pelle dei rapiti, cercando di piegare Netanyahu attraverso le piazze israeliane.

Lei, visibilmente deperita, quasi irriconoscibile secondo la famiglia che ha autorizzato la pubblicazione delle immagini - commentando con sgomento «non è la stessa figlia e sorella che conosciamo» - afferma d'esser stata trattenuta per oltre 450 giorni, dopo il rapimento nel kibbutz di Nahal Oz dove lavorava alla sorveglianza. L'indicazione temporale è centrale, e lascia intendere che la registrazione sia recente. Ma ognuno gioca la sua partita: tra ostaggi che mancano all'appello sul versante palestinese (con Hamas che a Doha prova a volgere pro domo sua il mancato controllo del territorio, usando poi l'ennesimo video come arma di pressione dopo l'ultimo stallo) e famiglie dei rapiti che in Israele alzano la voce col governo.

Dopo aver bollato come deplorevole guerra psicologica la mossa degli islamisti, il governo Netanyahu ha dato «direttive specifiche per la continuazione dei negoziati». Per la famiglia di Liri, il video della soldatessa prova infatti l'urgenza di scendere a patti. Ieri nuova manifestazione davanti alla residenza del premier a Gerusalemme, almeno 4 fermi, e in serata scontri a Tel Aviv con le forze dell'ordine. Nel crescente pressing per un accordo, Netanyahu ha parlato con i genitori della 19enne: «Israele continua a lavorare senza sosta per riportare Liri e tutti gli ostaggi a casa», insistendo pure nelle ricerche nel Nord di Gaza proseguendo i raid. «Chiunque osi fare del male ai nostri ostaggi ne porta la responsabilità», il messaggio ai terroristi. Poi l'ordine di ripresa delle trattative, incagliate sul numero chiesto inizialmente: 30 ostaggi vivi nell'eventuale prima fase di cessate il fuoco.

Tra le complicazioni, c'è che non tutti sono nelle mani di chi ha orecchie sul tavolo di Doha, come Basem Naim, uno dei leader politici di Hamas: dopo il primo round, ieri evocava la «serietà» del gruppo per raggiungere un accordo «il prima possibile». Poi l'azzardo del video, per scardinare la linea dura nel governo Netanyahu anche a costo di innescare il ritorno alla casella di partenza; come nei colloqui di fine anno, quando Hamas aveva fornito solo un elenco parziale dei rapiti ancora vivi, giustificando la mancata informazione con il fatto di non essere in grado di comunicare con tutti i carcerieri finché Bibi non ferma i raid.

Gli sforzi diplomatici, e gli stop-and-go, si intrecciano pure con le scelte politiche degli Stati Uniti. In attesa dell'insediamento di Trump, l'attuale inquilino della Casa Bianca ha fatto sapere che gli Usa invieranno altri 8 miliardi di dollari di armi a Israele: l'amministrazione Biden avrebbe notificato al Congresso una proposta di vendita di missili anti-carro Hellfire per elicotteri e Aim 120-C8 Amraan per jet, droni e munizioni. E se il Segretario di Stato uscente dice che Biden è stato fondamentale per permettere l'invio di aiuti a Gaza, Bibi guarda già al dopo.

Pronto a trattare, ma non a sgombrare i corridoi creati nella Striscia: dal suo ufficio filtra infatti la possibile riduzione degli aiuti a Gaza dopo l'insediamento di Trump, per mettere ulteriore pressione su Hamas. E continuare «finché il lavoro non sarà finito».

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