Un disastro annunciato e prevedibile. La rivolta delle banlieue innescata dalla tragica morte del diciassettenne a Nanterre, notte dopo notte, si sta trasformando in una folle festa distruggitrice. Bruciano le macchine, bruciano i negozi, bruciano le scuole, le biblioteche, i commissariati, i municipi, le banche. Bruciano tutti i simboli (veri o immaginari poco importa) di una società e di un sistema considerato nemico. Da Parigi a Lione, da Marsiglia a Tolosa e Metz e poi nei centri minori al calar del sole folle di giovanissimi sciamano per le strade impugnando sbarre di ferro, bottiglie incendiarie e, qualcuno, armi da fuoco.
Di fronte questa ondata di violenza incontrollabile, Macron e il suo governo sembrano inebetiti. Solo domenica sera la premier Elisabeth Borne e Gérald Darmanin il ministro degli Interni che voleva dare lezioni all'Italia in materia di immigrazione e accoglienza si sono degnati di porgere la loro solidarietà alle centinaia di poliziotti e gendarmi finiti all'ospedale. Per il resto solo balbettamenti e frasi di circostanza.
È la realtà amara ma inequivocabile del fallimento di una politica più che quarantennale, inaugurata agli inizi degli anni Settanta dal presidente Pompidou e poi proseguita e sviluppata dai governi d'ogni colore che si sono, via via, succeduti. Il calcolo era semplice e apparentemente fruttuoso. Importare dall'Africa ex francese, la France-Afrique, manodopera a basso costo per le industrie esagonali, centinaia di migliaia e poi milioni di sradicati; una massa apparentemente gestibile da rinchiudere, nel segno dell'«assimilazione repubblicana», nelle desolate periferie delle zone industriali. Una bomba ad orologeria.
Nel 1976 la prima legge di ricongiungimento familiare spalancava porte e finestre all'immigrazione legale e incoraggiava quella illegale. Nel 1978 il Consiglio di Stato allargò ulteriormente le maglie con norme ancora più lassiste e da allora i controlli si sono man mano evaporati. Nel 2018, Macron regnante, la Corte Costituzionale depenalizzava definitivamente l'immigrazione clandestina.
Risultato? Una società parallela e ostile, ghettizzata nelle aree più critiche e degradate del Paese, intrisa di rancori sociali ed etnici, suggestioni fondamentaliste e sempre più pervasa e gestita come conferma il rapporto annuale presentato dal «Service d'information, reinsegnement et d'analyse stratégique sur le criminalitè organisée» (Sirasco) da narcos algerini, dalla «mocro mafia» marocchina (ma impiantata in Olanda e Belgio), da mafiosi e camorristi nostrani, balcanici d'ogni tipo, cinesi, sud americani, russi e ucraini. Uno scenario in continuo movimento ritmato da rivalità feroci e continue sanguinose faide costate l'anno scorso 41 morti, di cui un terzo giovanissimi. Un magma incandescente che puntualmente zampilla odio e violenza.
Nonostante gli investimenti per la riqualificazione delle banlieue (un piano pluriennale di 400 milioni di euro) e tante promesse elettorali, basta infatti un pretesto e come nel 2005 quando per tre lunghe settimane l'intera Francia fu scossa da una analoga fiammata , l'intero territorio metropolitano si trasforma in un far west, una landa senza legge, senza giustizia. Ma, rispetto al passato, questa volta vi è in più un dato che preoccupa gli osservatori più attenti: la massa dei «casseur» è formata per lo più da adolescenti, da ragazzini di appena 13-14 anni. La peggior conferma possibile della bancarotta del sistema educativo francese e lo svanire d'ogni miraggio sull'integrazione.
A ben vedere un panorama già anticipato nel 1995 dal film di Matthieu Kassovitz, «L'odio» (La Haine).
In quella crudissima pellicola vi era già tutto: la cupezza della periferia multietnica, la repressione poliziesca, l'illegalità diffusa e la violenza cercata e voluta. Alla fine solo morte e macerie, nessun futuro, alcuna speranza. C'est la France
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