Conveniente, sostenibile, strategico. Investire sul gas «a chilometro zero» presenta una serie di vantaggi. Eppure negli ultimi vent'anni la produzione nazionale è crollata, passando dai 16 miliardi e mezzo di metri cubi del 2000 ai circa 3 attuali. Un calo figlio della diminuzione della domanda, ma anche della crescita dell'import e di scelte politiche, come la moratoria sulle trivellazioni decisa dal governo Conte I e la successiva approvazione del Pitesai, il piano regolatore che ha introdotto diversi limiti per le esplorazioni e la produzione.
Un regolamento che il ministro Roberto Cingolani ora vorrebbe «rivedere» per aumentare la sicurezza energetica ed allontanare lo spettro dei razionamenti. La strategia passa per la «riduzione del gas totale» e l'aumento «di quello estratto dai nostri giacimenti», che potrebbe avere quindi un ruolo rilevante nella sostituzione dei volumi importati dalla Russia. I giacimenti dell'Alto Adriatico, ad esempio, intoccabili per il rischio di subsidenza (cioè di sprofondamento del fondale), custodiscono tra i 30 e i 40 miliardi di metri cubi di riserve accertate. A ridosso del limite delle acque territoriali la Croazia li sfrutta da anni. E da settembre stanzierà 266 milioni di euro per realizzare nuove piattaforme. Per costruirne una decina davanti alle coste del Veneto ci vorrebbero al massimo tre anni e un investimento di 2-3 miliardi, che consentirebbe di aggiungere alla produzione domestica 3 miliardi di metri cubi in più all'anno per un ventennio: il periodo che ci separa dagli obiettivi di neutralità climatica fissati per il 2050. La tecnologia sarebbe la stessa già utilizzata al di sotto della linea del Po, dove il confronto tra modelli predittivi e dati reali ha mostrato un abbassamento del fondale di 2 centimetri in trent'anni (e soltanto nel raggio di pochi chilometri dalle piattaforme). I rischi geologici, quindi, sarebbero minimi.
Un'altra zona «attenzionata» è quella del Canale di Sicilia, dove l'avvio della produzione di gas dai giacimenti Argo e Cassiopea è prevista per la prima metà del 2024. Sarà l'Eni, con un investimento di oltre 700 milioni, a estrarre il metano dai pozzi sottomarini e convogliarlo, attraverso 60 km di tubi posizionati sul fondale, nell'impianto di trattamento di Gela e poi sulla rete di distribuzione. Il potenziale è di 10 miliardi di metri cubi, ma nell'area circostante potrebbero essercene molti di più. Pozzi facilmente collegabili alle infrastrutture in costruzione, ma che ricadono in aree considerate «non idonee» dal Pitesai. In questo caso, ad impedire le esplorazioni è il divieto di effettuare attività di questo tipo entro 12 miglia. Un vincolo che in molti considerano esagerato e arbitrario, e che ha l'effetto di impedire lo sfruttamento di una fetta importante del patrimonio nazionale.
Poi c'è il nodo del rilancio dei giacimenti in funzione, su cui gli investimenti si sono ridotti proprio per effetto della stretta degli ultimi anni. Qualcosa, però, inizia a muoversi.
È di ieri l'annuncio dell'avvio da parte del Gse (società del ministero dell'Economia) di «procedure per l'approvvigionamento di lungo termine di gas naturale di produzione nazionale», agendo anche sulle concessioni ora sospese, senza «attendere i tempi autorizzativi e realizzativi necessari per eventuali nuove trivellazioni».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.