![Il gigante russo e il nano occidentale](https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2024/12/27/1735278118-azqemlbnprnebn5ueo7n-sputnik.jpeg?_=1735278118)
Anche scrivere il numero è complicato: per armi ed eserciti nel mondo si sono spesi l'anno scorso 2,46 bilioni, ovvero 2,46 migliaia di miliardi, con un aumento del 7,4% rispetto al 2022, che a sua volta aveva fatto segnare una crescita del 6,5%. Non è una curiosità statistica quella diffusa ieri dall'Istituto Internazionale di studi strategici di Londra, in occasione della presentazione dell'annuale rapporto «Military balance»: il mondo si sta armando a ritmi sempre più veloci. E nella gara a chi può mettere in campo più bombe e carri armati c'è una primatista assoluta, la Russia di Vladimir Vladimirovich Putin.
Nell'arco di 12 mesi la spesa militare del Cremlino è cresciuta del 41,9%, fino a superare i 13 miliardi di rubli. Se si traduce in dollari questa cifra tenendo conto della parità di potere d'acquisto si arriva al record di 462 miliardi. E anche questo numero ha un significato: sommando la spesa di tutti i Paesi dell'Unione Europea e della Gran Bretagna si finisce per raggiungere a malapena quota 457 miliardi. In pratica la Russia da sola spende più di tutta la Ue e della Gran Bretagna messi assieme.
Dal punto di vista quantitativo è impressionante notare che la spesa militare di Mosca è pari al 6,7% del prodotto interno lordo, circa il 40% dell'intero bilancio statale. Ma non è solo questione di numeri, l'intera società russa è ormai una macchina da guerra: l'economia orientata a un rigido dirigismo bellico, i curriculum scolastici, dall'asilo alle università, rigidamente militarizzati, con lezioni e corsi obbligatori. Al Sundance Film Festival è appena stato presentato (e premiato) «Mr. Nobody Against Putin», un documentario girato di nascosto da un insegnante russo che ha documentato la trasformazione della sua scuola in un centro di reclutamento e di propaganda nei mesi trascorsi dall'invasione dell'Ucraina (inutile aggiungere che appena prima dell'uscita del documentario l'autore ha dovuto in tutta fretta fuggire all'estero).
Quando si parla di pace con Mosca, e in questi giorni la prospettiva sembra farsi concreta, bisogna sempre tenere conto di questa realtà. Ai tempi dell'Unione Sovietica la differenza riguardava il sistema economico-politico, oggi si potrebbe parlare di differenza politico-culturale. Da una parte un autocrate di altri tempi («Putin non mi ascolta, lui ha tre consiglieri: Ivan il terribile, Pietro il Grande e l'imperatrice Caterina», si è fatto sfuggire una volta il ministro degli Esteri Lavrov), dall'altra un gruppo di Paesi democratici, che si rendono conto della necessità di armarsi, ma che per la loro logica intrinseca di funzionamento, continuano a privilegiare il benessere dei cittadini rispetto alla volontà di prestigio e potenza.
Il già citato rapporto dell'IISS rende conto bene di questa realtà: la spesa militare europea l'anno scorso è aumentata dell'11,7%, ed è il decimo anno di crescita consecutivo. Spiccano tra tutti il +23% della Germania e il salto di qualità della Polonia, passata dal ventesimo al quindicesimo gradino mondiale per budget militare. L'obiettivo è stato per quasi tutti quello di avvicinarsi a una spesa del 2% rispetto al Pil. Quanto agli altri traguardi, come quello appena indicato da Trump (il 5% sulla ricchezza prodotta), secondo l'IISS sono di fatto irraggiungibili: nessun Paese ha inserito nei propri budget, anche di lungo termine, cifre di quest'ordine di grandezza.
A ben guardare potrebbe essere questa la garanzia di
successo dell'Occidente: nella Russia ridotta a una grande caserma l'economia mostra i primi segni di usura. E anche un popolo paziente come quello russo finirà per reagire, facendo esplodere le contraddizioni del sistema.
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