In ginocchio davanti al Sultano. Ci costerà caro

In ginocchio davanti al Sultano. È questo il prezzo invisibile, ma anche più difficilmente quantificabile della liberazione di Silvia Romano

In ginocchio davanti al Sultano. Ci costerà caro

In ginocchio davanti al Sultano. È questo il prezzo invisibile, ma anche più difficilmente quantificabile della liberazione di Silvia Romano. Un prezzo che a conti fatti potrebbe risultare assai più rilevante dei milioni versati in moneta sonante ai rapitori per riavere la cooperante italiana. Nel mondo dell'intelligence, della geopolitica e delle relazioni nulla è mai gratis. Soprattutto se il «dominus» con cui fare i conti è il presidente della Turchia Recep Tayyp Erdogan. Per diventare la potenza di riferimento in quella che fu la nostra colonia e restò, almeno fino alla caduta del dittatore Siad Barre nel 1991, una sorta di appezzamento italiano nel Corno d'Africa, la Turchia ha investito con tenacia, spregiudicatezza e lungimiranza.

Non sarà un caso se uno dei due ospedali di Mogadiscio, costruiti e pagati dai turchi, porta il nome di Erdogan, se il porto e l'aeroporto sono gestiti e amministrati da compagnie con la propria sede ad Ankara e se il più grande campo d'addestramento del risorto esercito di Mogadiscio è gestito dalle forze armate del Sultano. Ma Erdogan non è soltanto molto generoso. È anche molto attento. E assai pericoloso. Per quanto riguarda l'attenzione non sarà un caso se il suo Paese è oggi il favorito per l'imminente assegnazione dei 15 lotti di prospezioni petrolifere lungo le coste somale. Negli anni di Barre sarebbero facilmente finiti nelle mani dell'Eni. Oggi contribuiranno all'espansione di una Turchia sempre più influente.

Noi invece in Somalia non contiamo più nulla. Dopo il sacrificio di soldati e giornalisti caduti nella sfortunata missione Onu del 1993 abbiamo rinunciato a ogni ruolo. E così la nostra intelligence ha dovuto, come già capitò con gli ostaggi rapiti in Siria, mettersi nelle mani di quella turca. Dunque la liberazione di Silvia Romano si trasformerà per Erdogan in un credito presto esigibile. Mentre per noi diventerà un debito estremamente pesante e minaccioso. La Turchia pronta ad aiutarci in Somalia è la stessa che in Libia punta a metterci fuori dai giochi. Ed è la stessa che nel Mediterraneo manda le sue navi da guerra a bloccare le navi dell'Eni impegnate nelle prospezioni per la ricerca di nuovi pozzi di intorno a Cipro.

Per capire la sproporzione tra aiuto e debito basterà dire che la trattativa con Al Shabaab è costata ad Ankara poco o nulla. Per realizzarla ha utilizzato i collaudati mediatori e informatori reclutati in quella zona grigia in cui si s'intrecciano i ricorrenti patteggiamenti indispensabili a garantire una cornice di sicurezza alle migliaia di lavoratori turchi presenti in Somalia. Ma statene certi ci verrà regolarmente fatturate.

Per ripagarle dovremo abbassare la testa quando in Libia si ridiscuterà il nostro ruolo. Magari rinunciando a discutere la legittimità del trattato con cui Erdogan ha deciso le zone del Mediterraneo in cui la Turchia e un governo di Tripoli ai suoi ordini, imporranno la propria egemonia.

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