L'Offerta di Unicredit ai soci di Bpm era stata «comunicata ma non concordata con il governo». Il commento del ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, sulla mossa di Unicredit sul Banco Bpm assume toni gelidi. A margine di una audizione a Palazzo San Macuto, il malumore non viene certo stemperato o nascosto. «Esiste il golden power, il governo farà le sue valutazioni quando Unicredit presenterà la sua proposta per le autorizzazioni del caso». Poi, facendo riferimento all'investimento della banca di Piazza Gae Aulenti nel capitale di Commerzbank il ministro osserva che «come dice von Clausewitz il modo più sicuro per perdere la guerra è impegnarsi su due fronti, poi chissà che magari questa volta questa regola non sarà vera».
Di certo dalle parti di Via XX Settembre e di Palazzo Chigi circola malumore non solo per l'operazione, ma per le modalità di rilascio delle informazioni rispetto a un progetto che se approvato farebbe nascere il terzo istituto di credito europeo per capitalizzazione di mercato e il primo della zona euro. Tanto che anche da parte della Presidenza del Consiglio si fa notare che il lancio da parte di Unicredit dell'offerta pubblica di scambio volontaria su Banco Bpm è stata comunicata soltanto a ridosso della delibera del cda di Unicredit e il governo ne ha potuto soltanto prendere atto. Inoltre, secondo l'esecutivo, non è chiara la finalità dell'operazione vista anche la concomitanza con l'interesse dell'istituto italiano verso la tedesca Commerzbank. L'ipotesi del Golden Power, insomma, esiste e verrà approfondita «come sempre accaduto in passato per casi simili, con un attento esame da parte degli uffici competenti».
Se Giorgetti non nasconde il proprio disappunto, Matteo Salvini parla ancora più chiaro. «A me le concentrazioni e i monopoli - dice il ministro delle Infrastrutture - non piacciono mai, ero rimasto al fatto che Unicredit volesse crescere in Germania. Non so perché abbia cambiato idea. Unicredit ormai di italiano ha poco e niente: è una banca straniera, a me sta a cuore che realtà come Bpm e Mps che stanno collaborando, soggetti italiani che potrebbero creare il terzo polo italiano, non vengano messe in difficoltà». E ancora: «L'interrogativo mio e dei tanti risparmiatori è: ma la Banca d'Italia c'è? Vigila come dovrebbe? Non vorrei che si volesse fermare l'accordo Bpm-Mps per fare un favore ad altri».
Se le perplessità sono diffuse, le posizioni ufficiali si attestano sulle frequenze della prudenza. Fratelli d'Italia, ad esempio, con Marco Osnato, presidente della Commissione Finanze della Camera stempera la polemica sulle autorità di regolamentazione. «Io credo sia giusto che la politica osservi e dica anche un'opinione, poi è chiaro che il mercato ha le sue dinamiche e, soprattutto, una banca sistemica come Unicredit ha anche un affaccio sulla regolamentazione europea della Bce». «Io auspico che, invece di un bipolarismo, in Italia si crei un multipolarismo bancario dove crescano sempre di più gli istituti di credito che possono affrontare le grandi sfide di mercato» conclude. «Non sta alla politica dirigere il mercato privato e le realtà private».
Umori non dissimili si respirano dentro Forza Italia, anche se gli azzurri non nascondono la consapevolezza che l'operazione, oltre a rappresentare una entrata a gamba tesa, scompagina i piani di una operazione dal valore strategico come quella tra Mps e Bpm. Si guarda ora alla reazione del mercato e in particolare alle mosse di Intesa Sanpaolo. Ma la raccomandazione è quella di tenere i toni bassi. «La concorrenza non è responsabilità della Banca d'Italia.
Può esprimere un parere, ma la decisione finale spetta al Meccanismo di Vigilanza Unico» commenta il capogruppo al Parlamento europeo, Fulvio Martusciello. «Il processo è fortemente regolato e non ci sono molti margini discrezionali. Evitiamo di turbare i mercati e di intaccare la fiducia in un'istituzione così rilevante».
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