Giorgetti media ma l'Italia rischia un'altra manovra da 8 miliardi. L'incognita del Pil

"In Europa c'è una Superlega: un campionato di serie A in cui alcuni Paesi membri godono di regole privilegiate e un torneo minore con norme più severe. Il campo di gioco non è livellato e questo è un problema enorme, da affrontare e risolvere"

Giorgetti media ma l'Italia rischia un'altra manovra da 8 miliardi. L'incognita del Pil

«In Europa c'è una Superlega: un campionato di serie A in cui alcuni Paesi membri godono di regole privilegiate e un torneo minore con norme più severe. Il campo di gioco non è livellato e questo è un problema enorme, da affrontare e risolvere». Il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora, ha commentato con questa metafora calcistica la proposta di riforma del Patto di Stabilità.

Chiaramente è un invito al governo affinché si attivi per una modifica in sede comunitaria e da domani l'Ecofin dovrà affrontare la questione. Il dossier andrà chiuso entro l'autunno quando gli Stati presentano le leggi di Bilancio che, dunque, dovranno rispettare le nuove regole. Essendo l'Italia un Paese ad alto debito, la correzione annua richiesta nel quadriennio dovrebbe attestarsi attorno allo 0,85% cioè sui 14-15 miliardi di euro. La speranza è che, concordando un piano di rientro del debito più lungo (7 anni), si possa scendere sullo 0,45% annuo, ossia sugli 7-8 miliardi. Da Bruxelles fanno notare che per l'Italia la situazione è un po' migliorata: il vecchio Patto prevedeva una correzione ex ante dello 0,6% ogni anno fino al raggiungimento di un avanzo secondario (cioè entrate superiori alle spese incluse quelle per interessi). Senza contare che il Fiscal Compact imponeva una correzione annua del debito del 4,5% (90 miliardi).

C'è da preoccuparsi? In teoria no. Un Paese grande come l'Italia non dovrebbe avere problemi a contenere la spesa di una decina di miliardi all'anno. Non a caso il Def prevede una discesa progressiva della spesa corrente della Pa (redditi + consumi intermedi) dal 15,4% atteso quest'anno al 13,9% del 2026 a fronte di una sostanziale stabilità delle prestazioni sociali. Certo, il deficit/Pil nel 2023 sarà sopra il 3% al 3,7% per scendere l'anno prossimo al 3%. Insomma, il Def disegna un percorso di lenta riduzione degli esborsi. Basti pensare che i nuovi sussidi contro il caro-energia sono stati finanziati con i circa 5 miliardi avanzati in questo capitolo di spesa dall'anno scorso e dal primo trimestre 2023.

Il problema sono gli investimenti. Come ha commentato il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, «occorre privilegiare solo la spesa che effettivamente produce un significativo impatto positivo sul Pil». L'affermazione è rivolta alla spesa pubblica in generale ma il pensiero corre veloce al Pnrr che, sempre stando al Def, prevede un ammontare ristretto di contributi a fondo perduto (una trentina di miliardi al 2026), mentre il binomio investimenti/contributi si ridurrà progressivamente dal 5,9% del Pil del 2023 al 4,9% del 2026.

Comunque si voglia operare la correzione non potrà non avere un effetto recessivo. Se si interverrà sugli investimenti ci sarà meno crescita. Puntando, invece, sui trasferimenti o sull'incremento del gettito fiscale, si mortificheranno sebbene lievemente i consumi.

«Aver fissato l'imposizione di un tetto pluriennale alla spesa pubblica senza altresì prevedere una golden rule (cioè una clausola di salvaguardia che escluda dal computo gli investimenti pubblici) rischia di mettere a repentaglio la ripresa economica e la crescita dei Paesi con un alto debito, come l'Italia», ha commentato il capodelegazione di Fdi al Parlamento Ue, Carlo Fidanza.

La preoccupazione è legittima: troppo spesso in passato si è tagliato sugli investimenti per conservare più o meno intatta la spesa di parte corrente. Un intervento in questo senso sarebbe stato utile, ma la Germania se ne sarebbe adontata. Ora bisognerà predisporre un piano di rientro credibile per evitare qualsiasi tipo di complicazioni.

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