Fu il suo partito, la Democrazia cristiana, a chiedergli il sacrificio. E Giovanni Leone obbedì, senza battere ciglio. Lasciò il Quirinale con tanta amarezza, travolto da una campagna di stampa giustizialista e forcaiola che fece di lui il bersaglio grosso su cui sparare a pallettoni. L’inchiesta in cui fu coinvolto era lo “scandalo Lockheed”, per l’acquisto da parte dell’Italia di 14 aerei da trasporto Hercules C-130 per l’Aeronautica militare. Lo stesso scandalo per cui il socialdemocratico Mario Tanassi (ex ministro della Difesa) finì in carcere per corruzione, e che indusse il ministro Luigi Gui (sia pure innocente) a dimettersi. Leone fu coinvolto perché, ai tempi in cui gli agenti della società americana vennero in Italia per pagare le mazzette, lui era presidente del Consiglio. Moro, presidente della Dc, parlando in aula difese strenuamente il suo partito (“non ci lasceremo processare né intimidire in piazza”) ma, dopo la sua tragica morte a seguito del rapimento da parte delle Br, la Dc non se la sentì di proseguire la lotta e, desiderando voltare pagina, accettò di sacrificare un nome di rango, il più alto di tutti, il Capo dello Stato.
Diversi anni dopo, nel novembre 1998, gli esponenti radicali Marco Pannella ed Emma Bonino, che tra i primi avevano cavalcato l’onda giustizialista chiedendo la testa di Leone, andarono a scusarsi pubblicamente con l’ex presidente, riconoscendo di essersi sbagliati e che lui, in fondo, era stato solo un capro espiatorio usato dalla Dc. Fu una sorta di riabilitazione in occasione del novantesimo compleanno di Leone.
Nato a Napoli nel 1908, figlio di un facoltoso avvocato che aveva fondato il Ppi in Campania e di Maria Gioffredi, a soli 21 anni Leone si laureò in Giurisprudenza e dopo un anno anche in Scienze politiche. Presidente della Fuci (universitari cattolici) per due anni, i suoi primi passi da avvocato li mosse nel prestigioso studio di Enrico De Nicola, futuro primo presidente provvisorio della Repubblica. In parallelo all’attività forense iniziò quella accademica, insegnando diritto e procedura penale: nel 1935 divenne professore ordinario.
Iscrittosi al Pnf per non avere ostacoli all’insegnamento universitario, nel 1944 aderì alla nascente Democrazia cristiana e nel 1946 fu eletto all’Assemblea costituente, entrando nella "Commissione dei Settantacinque" che redasse la prima bozza della carta costituzionale. Entrato alla Camera nel 1948, la guidò dal 1955 al 1963, quando si dimise per assumere l’incarico di presidente del Consiglio. Sempre rieletto restò a Montecitorio fino al 27 agosto 1967, quando il presidente della Repubblica Saragat lo nominò senatore a vita. Nella sua lunga carriera politica per due volte, e per brevi periodi, guidò il governo: dal 22 giugno al 5 dicembre 1963; dal 25 giugno al 13 dicembre 1968. A seguito della sua prima esperienza a Palazzo Chigi nacque l’espressione “governo balneare”, coniata dalla stampa per indicare l’estrema volatilità dell'esecutivo.
La Dc lo candidò ufficialmente alle elezioni del Presidente della Repubblica del 1964 (dopo le dimissioni di Segni): Leone rimase in corsa fino al quattordicesimo scrutinio, trovandosi di fronte, però, un’alternativa insidiosa, quella del compagno di partito Fanfani. Capito che non c’erano possibilità di successo, si fece da parte e, da lì a poco, si sbloccò l'accordo per l’elezione di Saragat.
Dopo le elezioni politiche del 1968, a fronte di un’incertezza forte, con la Dc in crisi e i socialisti (riunificatisi al Psdi) ancor di più, Leone accettò di formare un governo monocolore, per puro spirito di servizio. Dopo che socialisti e repubblicani si schiarirono le idee, celebrando i loro rispettivi congressi, emersa la volontà di riaprire una nuova stagione di centrosinistra, Leone fece un passo indietro e si dimise, lasciando il posto al collega di partito Rumor.
Siamo nel 1971, si deve eleggere il successore di Saragat. La Dc stavolta punta su Fanfani, presidente del Senato e uomo forte dello Scudo crociato. Per il toscano, però, le cose si mettono male e, nelle prime sei votazioni, prende meno voti di De Martino (Psi). Dall’undicesima votazione la Dc ributta nella mischia Fanfani, ma ancora una volta i franchi tiratori del partito hanno una mira precisa e lo impallinano. Si arranca fino al 22° scrutinio, quando finalmente lo stallo si sblocca e, grazie a un accordo tra Dc, Psdi, Pli e Pri, viene designato Leone per il Quirinale.
Ma il primo tentativo di elezione dopo il sopraggiunto accordo va male, e per un solo voto Leone non ce la fa, fermandosi a 503 contro i 504 necessari. Fu necessario, dunque, un nuovo scrutinio (il ventitreesimo) e i voti del Movimento sociale italiano per poter raggiungere il quorum.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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