Un giro di fatture gonfiate. E il "boss" dei profughi si ristruttura lo chalet

La coop Ecofficina gestisce i maggiori centri veneti e incassa milioni. Ma è nel mirino dei pm

Un giro di fatture gonfiate. E il "boss" dei profughi si ristruttura lo chalet

Il re dei profughi si restaura lo chalet di montagna. Nulla di male in questo, il punto è come. Ecofficina. Un nome che in Veneto suona come un maxi impero che fa affari con i profughi. Nata nel 2011 per dare servizi ad asili e biblioteche, nel 2013 comincia a dedicarsi anche ai richiedenti asilo. Onorevole, se non fosse che questi fruttano di più di bimbi e libri da colorare. Una cooperativa che nel giro di quattro anni si è aggiudicata i centri di accoglienza di mezza regione e che da un bilancio di un centinaio di migliaia di euro, è arrivata a decuplicarlo. Cifre a sette zeri che hanno fatto diventare la «cooperativa pigliatutto», così ribattezzata dalla stampa locale, una sorta di Spa.

Cifre che non sono piaciute ai vertici di Confcooperative che a settembre scorso hanno sospeso la società, tuttora in attesa di giudizio, per il «troppo business». Una cooperativa che oltre a sette zeri vanta anche le indagini della magistratura. La prima inchiesta risale ad aprile scorso per truffa aggravata ai danni dello Stato e maltrattamenti avvenuti in un centro di Montagnana, nel Padovano. Poi il bando a Due Carrare, sempre nel Padovano, per vincere il quale Ecofficina avrebbe «truccato» una data retrodatandola; e ora l'inchiesta che coinvolge la società che gestisce rifiuti nella zona, la Padova Tre. Ecofficina, ora divenuta Edeco, è quella che gestisce i centri di accoglienza più grandi del Veneto: Conetta e San Siro di Bagnoli di Sopra. Padova Tre partecipa alla nascita di Ecofficina. E dietro le quinte si apre un mondo, fatto di soldi e parenti. Ebbene. Consulente di Ecofficina-Edeco è Simone Borile, il nostro re che restaura lo chalet. La moglie di Borile, Sara Felpati, è amministratore unico di Ecofficina-Edeco. Ma Borile era anche il vice presidente e il direttore di Padova Tre. Il primo incarico è cessato a luglio 2015, il secondo a febbraio 2016. Ed è proprio Padova Tre che avrebbe pagato a Ecofficina (gli ultimi pagamenti sono stati sospesi dal nuovo Cda) una serie di fatture per diversi milioni di euro, che sarebbero servite, questo è il sospetto, a gonfiare le spalle della coop rendendola competitiva nell'accoglienza profughi. Non ci sarebbero riscontri fra somme pagate e servizi. Ed è da Tre energia, di cui Padova Tre ha una quota del 40%, che sarebbe partita, ai tempi in cui Borile era direttore, una fattura di oltre 100mila euro, che sarebbe andata a finanziare i lavori nella casa di montagna di Borile, a Cinte Tesino, Trento.

Potrebbero essercene altre per eventuali interventi nell'abitazione di Borile, che «a causa del processo mediatico», come dice lui, è senza lavoro. Anzi lavora con la moglie nei centri di accoglienza. C'è di più. A scoperchiare il pozzo nero è il sindaco di Piove di Sacco, Davide Gianella, 36 anni, laurea in Legge, che notando delle anomalie nel piano dei rifiuti, l'11 aprile 2016, presenta un esposto alla Guardia di Finanza di Padova. «Il debito che ha generato Padova Tre dice Gianella - è milionario. Quando ho chiesto i documenti non me li hanno dati. Il costo del servizio rifiuti è di 2 milioni e 200mila euro. Ma Padova Tre mi ha presentato un piano di 3 milioni e 200 mila euro. A cosa serviva quel milione in più?». Insomma il sospetto che siano state gonfiate le tariffe dei rifiuti ai cittadini per ripianare i debiti è sempre più forte. Anche perché il buco si aggirerebbe sui 30 milioni.

Simone Borile - da noi contattato - preferisce non commentare definendo la situazione assurda e irragionevole.

Quando gli chiediamo come mai Ecofficina, stando ai bilanci, abbia fatto così tanti soldi, ci risponde: «Non ha fatto soldi, ha fatto fatturato che sono due cose diverse». E noi che credevamo che a far fatturato si diventasse ricchi.

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