L'aumento esponenziale di fascicoli giudiziari di richiedenti asilo non è colpa dei provvedimenti del governo ma del boom dell'immigrazione irregolare: parola di un giudice addetto ai lavori. Dopo dieci giorni in cui magistrati di tutta Italia hanno fatto a pezzi (con sentenze e dichiarazioni) i provvedimenti del governo in materia di immigrazione, una voce di pragmatico buonsenso arriva dall'ufficio giudiziario che gestisce il carico maggiore di richieste di asilo in Italia: la sezione immigrazione del tribunale civile di Milano. È il presidente della sezione, Guido Vannicelli, con una lunga intervista all'Agi a riportare il focus sulle vere cause della situazione di collasso denunciata da molti suoi colleghi: «Se i flussi non rallentano alla fonte, che mi pare l'obiettivo della Commissione Ue e di molti Governi europei, fra cui quello italiano, creando nei Paesi di partenza le condizioni che invoglino i maschi giovani che costituiscono la stragrande maggioranza dei nostri ricorrenti a non lasciare la propria patria, per poi spesso chiamare il resto della famiglia quando riescono a ottenere un titolo di soggiorno, questa migrazione epocale non potrà mai essere gestita in modo regolare e ragionevole». A ulteriore dimostrazione dell'attenzione sul problema, ieri la premier Giorgia Meloni ha telefonato al nuovo presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa. Un colloquio nel quale, oltre agli auguri, Meloni ha sottolineato «l'esigenza che l'Unione europea possa contare su un quadro giuridico» per gestire asilo e rimpatri.
Lo scontro frontale tra magistratura e governo sulla «procedura accelerata» applicata per espellere gli irregolari, ricorda Vannicelli, è d'altronde destinato a durare poco più di un anno, perché quando entrerà in vigore il nuovo regolamento europeo i giudici non potranno fare altro che applicarlo: avremo «una lista centrale dei Paesi di origine sicuri che a quel punto nessun giudice nazionale potrebbe più mettere in discussione», pertanto diventerà «regola, e non più eccezione, quella procedura accelerata di frontiera fondata anche sulla provenienza da Paesi di origine sicura, che alcune corti di merito italiane stanno sostanzialmente disapplicando».
Vannicelli e i suoi colleghi si confrontano quotidianamente con i ricorsi dei richiedenti asilo sia nei Cpr milanesi che provenienti da altri centri di prima accoglienza, e descrive una situazione in cui la responsabilità dell'intasamento dei tribunali è chiara: «Chi organizza i viaggi degli immigrati gli dice che all'arrivo devono dichiarare, per non essere immediatamente espulsi, di voler richiedere la protezione internazionale. E poiché questo genere di domanda è in gran parte respinto dalle Commissioni territoriali, dato che il bisogno economico non è considerato dalla Convenzione di Ginevra del 1951 una causa di asilo, l'unico modo di riuscire a rimanere sul territorio italiano consiste, come avviene per circa il 95% dei rigetti, nell'impugnare la decisione negativa della Commissione in Tribunale, che ne viene quindi sommerso». E non è tutto: «Il cittadino straniero proveniente da uno di quei Paesi che non avrebbe automaticamente diritto a permanere sul territorio nazionale chiede al Tribunale in via urgente di sospendere gli effetti della decisione impugnata così da poter rimanere in Italia sino alla decisione del ricorso. Vale a dire per anni», visto che i tempi di attesa a Milano sono oltre mille giorni.
In questo caos, la decisione del governo di reintrodurre il giudizio d'appello sulle richieste di asilo, accusata da molti magistrati di allungare a dismisura i tempi di attesa, secondo Vannicelli sarà invece «sostanzialmente ininfluente», perché nel frattempo i giudizi di primo grado potranno essere più veloci.
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