Domenica 12 giugno si voterà per il referendum sulla Giustizia. Per i favorevoli ai quesiti referendari, siamo vicini ad un giro di boa che potrebbe cambiare l'Italia, modificando aspetti essenziali di un sistema che i giustizialisti continuano a considerare intangibile. I quesiti sono stati promossi, sin dalla raccolta delle firme, dalla Lega e dal Partito Radicale. Tutte le formazioni politiche, sia prima sia in seguito al passaggio della Consulta, che ha tuttavia respinto il quesito sulla responsabilità civile dei magistrati, hanno assunto posizioni diverse. Forza Italia ed il Carroccio sono in prima linea affinché gli elettori votino cinque Sì, mentre Fratelli d'Italia promuove soltanto tre Sì su cinque: Fdi si è posizionato in modo diverso dal resto del centrodestra rispetto all'abrogazione della legge Severino ed alla rivisitazione delle norme per cui può scattare la custodia cautelare. Italia Viva è schierata da tempo per cinque Sì ed il medesimo orientamento è espresso da Azione. Il Partito Democratico è spaccato almeno in due blocchi, tant'è che dalle parti del Nazareno hanno rispolverato una formula antica: «Libertà di voto». Enrico Letta ha provato ad imporre la linea dei cinque No secchi (l'ex presidente del Consiglio ha pure dichiarato che la vittoria dei Sì «aprirebbe» a «dei problemi»), ma la parte garantista del partito sta giocando una partita tutta sua, battagliando per tre Sì su cinque, in coerenza dicono il costituzionalista e deputato Stefano Ceccanti ed altri -, con quanto i dem stanno portando avanti in Parlamento. Non solo: tra le fila dei dem, c'è più di qualche parlamentare orientato a votare quattro Sì, se non addirittura cinque su cinque, come nel caso dell'onorevole Enza Bruno Bossio. Il MoVimento 5 Stelle, che resta legato mani e piedi al giustizialismo, è l'unica pedina dello scacchiere partitico italiano ad essere contraria, peraltro in maniera unanime, ad ogni quesito, non presentando (com'è insolito e differentemente dal Pd) spaccature interne sul referendum.
Cosa cambierebbe però se, una volta raggiunto il quorum, i singoli quesiti dovessero essere approvati dalla metà degli aventi diritto più uno degli italiani?
RIFORMA CSM Qualora passasse il quesito sulla riforma del Consiglio superiore della magistratura, sparirebbe un obbligo che un magistrato intenzionato a proporsi per il Csm, ora come ora, dovrebbe tenere in considerazione, ossia quello di essere sostenuto in via preliminare da un numero di firme, per una cifra compresa tra venticinque e cinquanta. Secondo i promotori del referendum, il fatto che un magistrato, per poter entrare a far parte del Csm, debba prima procurarsi delle sottoscrizioni di colleghi, alimenta ed amplifica tanto l'esistenza quanto il peso delle correnti in seno alla magistratura. I sostenitori del Sì ritengono anche che l'approvazione del quesito in questione possa contribuire con decisione a stroncare il correntismo come fenomeno.
EQUA VALUTAZIONE Il quesito sull'equa valutazione dei magistrati, nel caso passasse, consentirebbe agli avvocati ed ai professori che fanno parte dei Consigli giudiziari di poter giudicare il lavoro svolto dai magistrati. Adesso, i cosiddetti membri laici degli organi appena citati non posseggono questa facoltà valutativa.
SEPARAZIONE DELLE CARRIERE Con l'approvazione della separazione delle carriere, ancora, un magistrato dovrà selezionare, sin dall'inizio del suo percorso, quale sentiero professionale percorrere, scegliendo tra la funzione giudicante e la funzione requirente e non potendo più variare. In ballo, in relazione a questo quesito, c'è anche il principio della «terzietà del giudice», dicono i favorevoli.
CUSTODIA CAUTELARE Rispetto alla custodia cautelare, il quesito sottoposto ai cittadini propone di cancellare la reiterazione del medesimo reato quale fattispecie in grado di giustificare la carcerazione preventiva. I promotori del referendum sulla Giustizia insistono molto sul numero delle persone che ogni anno finiscono in carcere, salvo poi essere dichiarate innocenti: il Comitato promotore Giustizia Giusta ha stimato quasi trentamila casi in meno di vent'anni.
ABROGAZIONE SEVERINO Abrogando la legge Severino (che risale al 2012, dunque al governo presieduto da Mario Monti), i magistrati potrebbero tornare a disporre, a seconda del singolo caso, sull'interdizione dei pubblici uffici
per chi, condannato, ricopra incarichi elettivi. La Severino rileva su incandidabilità, ineleggibilità e decadenza. I favorevoli al quesito insistono molto sulle statistiche relative ai condannati poi giudicati innocenti.
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