A Palazzo Chigi (e al ministero della Giustizia) sono a dir poco basiti. Per non dire infuriati.
Nell'intervista di ieri a Repubblica, in cui apre ad ulteriori modifiche della riforma della giustizia, che dovrebbe approdare in aula il 23 luglio, Enrico Letta «dice l'opposto di ciò che ha garantito al presidente Draghi nell'ultimo colloquio che hanno avuto, quando aveva sostenuto che quella riforma andasse approvata prima possibile», si fa notare.
L'improvvisa giravolta del segretario Pd sulla riforma Cartabia (già frutto di una lunga trattativa al ribasso causata dalle intemperanze forcaiole dei grillini) è giunta del tutto inaspettata a Palazzo Chigi, e «complica molto le cose». Tanto che non si esclude un ricorso alla fiducia, per mettere tutti davanti alle proprie «responsabilità». Anche perché Letta, con la sua uscita di ieri, si presta a far da sponda a Giuseppe Conte (che oggi incontrerà Draghi) e al suo intento di bloccare il superamento della legge Bonafede per guadagnare punti tra i grillini, dopo essersi invece impegnato col premier a convincere M5s a non fare ostruzionismo contro la madre di tutte le riforme.
«La fiducia è una extrema ratio - ammette un membro di governo Pd - ma non possiamo farci dettare la linea sulla giustizia dai grillini». E nel Pd la componente di Base riformista non nasconde la contrarietà alla nuova linea del segretario (che i più maligni attribuiscono alla «necessità di avere il sostegno di Conte per il collegio di Siena»). «I numeri dei gruppi Pd parlano chiaro», dicono, sottolineando che la maggioranza dei parlamentari non è disponibile ad ulteriori rinvii. E ricordano che «il compromesso sul testo Cartabia ha avuto l'ok della responsabile giustizia Rossomando, e anche Andrea Orlando nel consiglio dei ministri che lo ha varato ha detto che era una buona soluzione». Lo stesso Letta, peraltro, si era detto «soddisfatto di un compromesso che ci fa fare un grande passo avanti verso una riforma bipartisan». Cercare ulteriori mediazioni (su quali punti non si sa, perché Letta e la stessa Rossomando chiedono a Cartabia di scoprirlo) vuol dire solo lavorare per un rinvio. Mentre Draghi era stato ultimativo: va fatta prima della pausa estiva, ne va dei fondi del Pnrr.
«Quindi Letta, il duro che sul ddl Zan non si tratta, dice che invece sulla giustizia si può ancora trattare, ammazzando la riforma. Povero Pd», attacca Roberto Giachetti da Italia viva. E in effetti il contrasto non potrebbe essere più surreale, nel giorno in cui proprio il dem Alessandro Zan annuncia di essere pronto a far fallire il suo ddl piuttosto che modificarlo anche in minima parte: «Meglio nessuna legge che una legge decapitata».
Durissimo anche Enrico Costa di Azione: «Pazzesco, dopo aver votato in Cdm la riforma il Pd scarica su Cartabia l'onere di una nuova mediazione, dimenticando che quel testo è già una mediazione. E solo per inseguire M5s». A questo punto, ricorda Costa, c'è il rischio che «anche il centrodestra, che ha accantonato i suoi emendamenti in nome del compromesso, li ritiri fuori. I tempi salterebbero». Ma anche nel Pd si respira un crescente malessere: «Capisco che Draghi sia infuriato: stiamo dicendo il contrario di una settimana fa... se va avanti così firmo anche io i referendum», dice una parlamentare dem, proprio mentre Salvini annuncia che sono già state raccolte 300mila firme sui quesiti.
«La mediazione è sempre necessaria in una maggioranza così larga - osserva Fausto Raciti - ma la Bonafede è una delle pagine peggiori della legislatura, e occorre andare ben oltre. La visita di Draghi e Cartabia a Santa Maria Capua Vetere è il segno di una cultura garantista a cui molti di noi si sentono vicini». Ben più che a quella di Conte, è il messaggio.
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