E se finisse come tredici anni fa, quando proprio sulla giustizia, e proprio nell'aula del Senato, si consumò l'affossamento del governo di Romano Prodi? Più passano le ore, e più Giuseppe Conte vede prendere corpo il fantasma che affossò il Professore. Perché sulla relazione che il ministro Alfonso Bonafede si prepara a portare alle Camere riuscire a compattare quanto resta della maggioranza si annuncia assai complicato, non solo al Senato ma anche a Montecitorio. E se Bonafede andasse sotto, il capolinea del governo Conte sarebbe inevitabile quanto fu quello del governo Prodi.
Per capire quanto nervosismo stia accompagnando l'avvicinarsi della scadenza, basta un semplice dettaglio: per tutta la giornata di ieri è circolata la notizia che l'intervento del ministro, fissato inizialmente per mercoledì prossimo, era destinato a slittare all'indomani a causa di «impegni istituzionali» di Bonafede. Il problema è che Bonafede non ha mai detto a nessuno di avere di meglio da fare che andare mercoledì in Parlamento. La relazione è praticamente pronta, l'agenda del ministro è libera. E pare che Bonafede non abbia gradito affatto venire usato come pretesto per un rinvio del voto. Un rinvio che viene inevitabilmente letto come un tentativo disperato di prolungare di 24 ore la caccia a «costruttori» e «responsabili» vari per blindare la maggioranza.
Che sia mercoledì, che sia giovedì, Bonafede in Parlamento comunque ci dovrà andare. E lì rischia di andare a sbattere: non solo contro Italia viva, che ha già annunciato il voto contrario, ma anche contro malumori di ogni genere, dal gruppo Misto come da pezzi del Pd. Il cammino per il ministro grillino in questi due anni non è mai stato facile, è stato più volte battuto in commissione, ha dovuto subire lo schiaffo della elezione del renziano Catello Vitiello alla presidenza della commissione Giustizia (poi dimessosi per carità di patria).
Certo, Bonafede ha portato a casa il suo risultato più celebrato, la riforma-abolizione della prescrizione dei reati, che il Pd (dopo averla contestata duramente quando era all'opposizione) ha finito con l'ingoiare. Ma il clima non è più lo stesso che ha portato la riforma a venire varata, Bonafede ha commesso più di un passo falso - come il pasticcio sulle scarcerazioni - e pezzi importanti della maggioranza si sentono sempre più lontani dalla visione «davighiana» del ministro. Non a caso ieri un grande vecchio del Pd come Luciano Violante in un'intervista va giù duro sulla piaga delle inchieste giudiziarie contro politici che si rivelano innocenti ma hanno le vite rovinate.
Insomma, se nella sua relazione Bonafede affronta i temi di fondo della giustizia rischia di uscire sconfitto da entrambe le Camere. Proprio per questo, secondo anticipazioni autorevoli, la relazione del ministro sarà concentrata quasi soltanto sul «recovery giustizia», il piano straordinario di interventi per portare il settore fuori dalle secche del Covid: il ministro rivendicherà di avere portato da 750 milioni a 2,750 miliardi lo stanziamento, parlerà delle sedicimila assunzioni con concorso semplificato da metà dell'anno, dei duemila «magistrati aggregati» da mettere a tempo determinato a smaltire le sentenze civili arretrate. I temi in grado di dividere la maggioranza, come la riforma della giustizia penale all'esame delle commissioni, resteranno fuori.
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