È la riscossa delle piccole scuole. Quelle che spesso rischiavano di chiudere perché avevano pochi alunni, arroccate in paesi minuscoli, isole, borghi di montagna, frazioni perse in chilometri disabitati. Classi di due bambini, pluriclassi con meno di dieci, un'esistenza sempre in bilico. È una realtà lontanissima dal dibattito di questi giorni. Si studiano soluzioni da dopo-pandemia per le classi sovraffollate di città, i banchi troppo vicini, magari il plexiglas a dividerli. Ma per i bambini di 9mila scuole, tecnicamente «plessi», d'Italia il 40% di tutta la popolazione scolastica della scuola primaria e il 20% della secondaria di primo grado - la ripresa delle lezioni non sarà certo un problema. I grandi spazi, che erano una condanna alla chiusura secondo le leggi dell'economia, ora sono esempio e risorsa. Nelle frazioni di Bobbio già da tempo si fa lezione lungo il fiume, a Pennisi, in Sicilia, l'andar per boschi è una consuetudine, come agorà e spazi dedicati per laboratori all'aperto, in provincia di Città di Castello le classi in miniatura sono talmente tecnologizzate che i collegamenti con bimbi di altre scuole d'Europa avevano cadenze settimanali già prima dell'emergenza Coronavirus.
Per questo Indire, l'Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa, sta mettendo in piedi con un gruppo di mini-scuole un modello da proporre: partire dal piccolo per la nuova scuola dell'era del dopo-pandemia. I pilastri: scuola-comunità, tecnologie, pluriclassi come risorsa.
Questi mesi possono essere l'occasione per riflettere su «un modello educativo frontale che non funziona più», spiega una delle ricercatrici di Indire, Giuseppina Cannella. E biblioteche, laboratori esterni, oratori, cinema, possono diventare sedi di lezione. Per «differenziare la didattica e lavorare per piccoli gruppi». «Abbiamo intenzione - racconta dall'Emilia Luigi Garioni, dirigente scolastico nel Comune di Bobbio - di svolgere lezione sul fiume una volta alla settimana». Il fiume è il Trebbia: queste sono le zone ribattezzate le Maldive dei milanesi per il colore straordinario dell'acqua, spiccioli di case seminati in un territorio vastissimo. All'aperto «l'attenzione è migliore, i ragazzi si distraggono di meno e c'è una maggiore ossigenazione del cervello». Bisognerà sempre guardare al meteo? «Basta attrezzarsi. Seguiamo l'esempio della Norvegia». Dall'altro capo d'Italia, a Pennisi, frazione di Acireale, la dirigente Alfina Bertè conferma: fare lezione outdoor «non è l'ora di ginnastica con una corsa, ma tutte le materie».
Nel piccolo Comune umbro di Monte Santa Maria Tiberina le lezioni in epoca pre-Covid si sono svolte anche nel castello, e il primo giorno di scuola preside e insegnanti si sono «travestiti da principe e da dame», racconta il dirigente scolastico Massimo Belardinelli. I bambini delle elementari sono ventuno per tutti e cinque gli anni, divisi in due pluriclassi. Il nido costa 40 euro al mese comprensivi di trasporti e mensa. In un piccolo borgo dove «la maestra conta come il maresciallo», si va «nel bosco due o tre volte alla settimana», si cammina «fino al villaggio neolitico», e si impara a conoscere sul campo le erbe medicinali. Ed è «normale fare lezioni a distanza con gli amici spagnoli».
«Quello delle piccole scuole non è un fenomeno minore - spiega un'altra ricercatrice Indire, Giuseppina Mangione - Interessa un quarto della popolazione scolastica italiana. In più di 1500 plessi esistono pluriclassi, dove i bambini di classi diverse fanno lezione insieme, con oltre 28mila studenti coinvolti». Nel 2017 è stato fondato il movimento nazionale delle piccole scuole che conta più di 400 istituti.
Da qui si sono fatti avanti gli insegnanti che nei mesi di scuola a casa hanno insegnato a oltre 8mila colleghi come gestire la didattica distanza. Ai laboratori online Spaesi e Dove sta di casa la scuola, si aggiungono ora le conferenze online «A scuola di prossimità».
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