Molti si sono soffermati sull'epiteto, davvero volgare e per nulla istituzionale, che Vincenzo De Luca ha rivolto a Giorgia Meloni. Probabilmente un inedito nella storia della Repubblica e non solo. Ma il governatore della Campania è uomo di esperienza, uscito da una scuola ferrea di partito (il Pci), quando i partiti erano davvero partiti. Poi certo chiunque può avere un infortunio, ma ho l'impressione che non sia così, che quel gioco di iperboli a rialzo abbia una sua logica nella mente dello «sceriffo». Lo «stron» rivolto alla premier è parente stretto del «vaffa» di Beppe Grillo. L'unica differenza è che mentre il governatore ha rivolto al sua parolaccia ad una carica istituzionale, il profeta del grillismo ai tempi mandò a quel Paese l'intero sistema istituzionale. Ed entrambi sono arrivati a questa apoteosi lessicale scalando nel tempo i toni della polemica e della protesta. Grillo ai bei tempi con i suoi seguaci circondò il Parlamento (voleva aprirlo come una scatoletta di alici) perché il suo bersaglio era l'intera classe politica, mentre De Luca l'altro ieri ha assediato Palazzo Chigi perché il suo obiettivo è l'attuale governo.
Così, a conti fatti e utilizzando un pizzico di fantasia che in politica non fa mai male, si può arrivare alla conclusione che il governatore si candida ad essere il nuovo Grillo. Dato che il comico prestato alla politica ha perso smalto ed è azzoppato - con tutto il rispetto - dalla vicenda del figlio, lo spazio per un'operazione del genere c'è, eccome.
L'elenco delle similitudini tra i due personaggi è lunghissimo. Grillo è arrivato alla politica utilizzando la comunicazione efficace del comico impegnato. Dagli spettacoli è passato andando a scuola da Casaleggio agli interventi sul web. De Luca ormai sono anni che utilizza l'ironia, il paradosso, l'epiteto nei suoi interventi politici che vengono dati in pasto all'opinione pubblica attraverso il web. Anche lui ha una sua comicità forbita, a volte sembra una riedizione del principe De Curtis riveduta e corretta per essere applicata alla politica: una celeberrima battuta dell'ineguagliabile Totò, «siamo uomini o caporali», è uscita più volte dalla bocca del governatore. Certo sulla rete è quasi un autodidatta ma il suo messaggio arriva. E tutti e due, sia Grillo che De Luca, preferiscono, se possono, evitare l'intermediazione dei media.
Altro punto d'incontro: la culla del grillismo è stata il Sud che ancora oggi è il grande serbatoio di voti pentastellati; in particolare la Campania, i principali leader che hanno affiancato il Profeta, sono di quelle parti, da Giggino Di Maio a Roberto Fico. Ebbene non sfugge a nessuno che tutta la campagna del governatore è improntata su istanze meridionaliste: la marcia del De Luca grillizzato parte da lì.
Ancora: Grillo è sempre stato «trasversale», non si è mai fatto incasellare nelle categorie di destra o sinistra e quando ha potuto, cioè di sovente, è stato duro con il Pd. Anche De Luca è «trasversale»: certo parte dalla sinistra, la sua storia politica nasce lì, ma su certe posizioni, vedi sull'ordine pubblico, scavalca spesso a destra la Meloni e Salvini. Ed è sicuramente impietoso nei confronti dell'attuale gruppo dirigente del Pd. Per cui è incasellato dalla sua storia non dai suoi slogan. Questo può rivelarsi un punto in più: Grillo, infatti, è rimasto esterno alla politica, ha sempre delegato ad altri l'impegno, da Di Maio a Conte, coltivando l'immagine dell'uomo anti-sistema; De Luca è già in politica, ha una storia d'amministratore di tutto rispetto, per cui non vuole cambiare il sistema, punta solo a demolire questa maggioranza e questo governo. Insomma, ha un obiettivo più politico: ha l'ambizione di diventare la cerniera che lega la cultura di governo della sinistra con il populismo di sinistra per mettere in piedi uno schieramento competitivo sul piano dei numeri con il centro-destra. A differenza della Schlein non vuole trattare con i grillini, vuole integrarsi, renderli più «politici» o succhiargli il consenso. Il lessico mutuato da Grillo serve nei fatti a favorire questa operazione, a dialogare con loro, ad introdursi tra loro.
Ed è qui il paradosso del De Luca-Grillo. In questi anni il governatore è stato il grande fustigatore del grillismo (le sue requisitorie contro Di Maio sono diventate un must); ora, invece, vuole addirittura sostituirsi a Grillo. Una grande contraddizione? Probabile, anzi molto grande.
Ma viviamo in un'epoca di contraddizioni in cui spesso i personaggi cambiano alleanze e ruoli: Mario Draghi è sempre stato uno spauracchio per il populismo di destra, ora ne è diventato un riferimento. Sono le imprevedibili vie della politica.
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