Francesco Rocca, neo-presidente della Regione Lazio, si aspettava un risultato elettorale di questo tipo?
«Francamente in tutti gli incontri fatti nel territorio avevo avuto la chiara sensazione che ci fosse un grande entusiasmo e una volontà precisa da parte dell'elettorato. E già negli ultimi sondaggi ufficiali ero dato con un vantaggio tra gli 8 e i 12 punti che stupiva anche me. Quando però ti trovi davanti ai risultati definitivi è tutta un'altra cosa. E devo dire che mi ha fatto molto piacere la telefonata di D'Amato dopo il risultato. Ha dimostrato una sportività che in politica è necessaria. Dopo la competizione, anche dura, è necessario ricostituire le condizioni del dialogo e, dove possibile, della collaborazione».
Ci sono le premesse politiche per fare bene? Sente attorno a sé l'unità della coalizione?
«Sì. Sento una forte unità, ma soprattutto la volontà di dare risposte ai cittadini e segnali di rilancio nel più breve tempo possibile. In campagna elettorale ho sentito molto la vicinanza e la collaborazione di tutti i rappresentanti delle diverse componenti della coalizione. Credo che di fondo ci sia una condivisione dei valori e una sintonia sulle priorità: un'ottima base di partenza».
Fratelli d'Italia ha colto una grande vittoria ma hanno retto bene anche gli alleati. Questo la aiuterà nella gestione della coalizione?
«Sicuramente sì. Sono contento che ognuno abbia realizzato un successo in base alle proprie aspettative. Se dobbiamo realizzare una squadra coesa e entusiasta è necessario che ogni giocatore si senta adeguatamente rappresentato».
Quando è iniziata la campagna mediatica sulla vicenda di droga che l'ha riguardata 38 anni fa ha mai pensato di rinunciare alla candidatura?
«Per quanto tutti mi avessero avvisato che la campagna elettorale sarebbe stata senza esclusione di colpi e avrei dovuto aspettarmelo ci sono sicuramente rimasto male. Forse in un primo momento ho avuto un attimo di avvilimento ma poi, anche grazie alla straordinaria solidarietà dalla quale sono stato circondato, mi sono reso conto che se si doveva ricorrere a tali metodi per fermare la mia candidatura avevo ancora di più il dovere, verso chi mi aveva dato fiducia, di giocare la mia partita e vincerla. Sono orgoglioso che in molti abbiano voluto sottolineare e ricordare i grandi traguardi che ho raggiunto nei 38 anni successivi».
Che presidente vuole essere? Come farà a coniugare la sua figura di tecnico con i riti della politica?
«Le assicuro che le esperienze precedenti che ho avuto, anche in campo internazionale, mi hanno abituato a quelli che lei chiama i riti della politica. Sono abituato a mediare, ma anche a prendere decisioni nell'interesse comune e se necessario difenderle senza fare passi indietro. Non sono mai stato nella mia vita una figura di mera rappresentanza. Mi considero un operativo, uno che ha fatto esperienza sul campo. Anche la politica ha una sua tecnica, delle regole e delle prassi. Non sarò certo un tagliatore di nastri».
Lei ha dieci anni di Croce Rossa alle spalle. Cosa ha imparato da quell'esperienza che le risulterà utile per la sua nuova avventura?
«In realtà sono più di dieci. Non sono nato Presidente. Ho avuto le mie esperienze operative e sono cresciuto in mezzo ai volontari. In tutto il mondo. Persone con diverse storie, diverse culture, accomunate dalla forte volontà di mettersi al servizio degli altri e in particolar modo dei più vulnerabili.
Se intendiamo la politica nella sua dimensione più pura non si tratta forse della stessa cosa? In politica ci vuole spirito servizio, la volontà di anteporre l'interesse di tutti all'interesse di pochi, di proteggere i deboli dai forti anziché inchinarsi ai potenti. E soprattutto saperlo spiegare agli altri».
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