Ergastolo ostativo, cosa prevede la misura voluta dal governo

La norma prevede un regime carcerario rigido, che non include l'applicazione dei benefici penitenziari: ecco cosa è presente nel nuovo decreto

Ergastolo ostativo, cosa prevede la misura voluta dal governo

Il delicato tema dell'ergastolo ostativo, strumento ritenuto di fondamentale importanza dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni per colpire la criminalità organizzata, sarà di certo uno di quelli più dibattuti all'interno dell'attuale maggioranza. In primis per il fatto che l'anima più garantista dell'esecutivo, rappresentata dalla compagine di Forza Italia, ha espresso più di qualche perplessità a riguardo. In secondo luogo per la bocciatura da parte dell'Unione delle camere penali, che ritiene la misura come "un inammissibile peggioramento, rispetto a quello già oggetto della valutazione di incostituzionalità della Corte costituzionale del quadro normativo in tema di ostatività e accesso alle misure alternative alla detenzione".

Cosa prevede

Con "ergastolo ostativo" si intende in sostanza indicare un regime carcerario, contemplato nella norma relativa all'ordinamento penitenziario, particolarmente rigido. Regime che, come spiegato dal portale Altalex, non prevede l'applicazione dei benefici penitenziari (quali ad esempio il regime di semilibertà, la liberazione condizionale, i permessi premio o il lavoro all'esterno del carcere) per i detenuti che si sono macchiati di reati particolarmente gravi come i delitti connessi alla criminalità organizzata, al terrorismo, all'eversione, oppure qualora il soggetto condannato non collabori con la giustizia o quando tale collaborazione risulti impossibile o irrilevante.

Ciò significa, in sostanza, ottenere una condanna in carcere perpetua, che non terrà conto neppure di un eventuale ravvedimento del reo. Questo strumento giuridico, quindi, si basa sulla presunzione di assoluta pericolosità sociale del condannato, valutata sulla base della tipologia e della gravità del reato compiuto: in conseguenza del ricorso a tale misura, dunque, neppure il giudice avrà l'autorità per valutare caso per caso un eventuale accesso a suddetti benefici penitenziari.

Il dibattito

Fin dal momento della sua introduzione, l'ergastolo ostativo è stato al centro del dibattito giudiziario. Il primo elemento a cui i suoi oppositori si appellano è quello relativo a una presunta illegittimità costituzionale: costoro ritengono, infatti, che l'applicazione di tale metodo entri in evidente contrasto con quanto previsto dall'art.27, comma 3, della Costituzione, nel quale si fa riferimento al principio di rieducazione del condannato.

Tra i penalisti contrari c'è persino chi ritiene che tale strumento sia lesivo dei principi di eguaglianza, di libertà morale e personale per il fatto che "costringerebbe" il detenuto a collaborare con la giustizia per evitare di scontare appieno tutta la pena. Si contesta da alcune parti anche la limitazione del diritto di difesa (art.24, comma 2, della Costituzione), poichè, spiega Altalex, "il principio nemo tenetur se detergere dovrebbe potersi applicare non sono nella fase processuale ma anche in sede di esecuzione della pena". Secondo l'opinione di alcuni giuristi sarebbe violato pure il divieto di pene inumane, sancito all'art.3 della Convenzione dei diritti dell'uomo e tutelato anche dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo.

Il parere degli Ermellini

In una sentenza del 2003, tuttavia, la Corte costituzionale ha sancito che l'ergastolo ostativo non preclude assolutamente l'accesso ai benefici penitenziari ai detenuti condannati, dal momento che essi sono liberi di collaborare con la giustizia per evitare la misura. La scelta di non collaborare, e dunque di non arrivare a fine pena, è una libera volontà del reo, cosa che non contrasta con quanto sancito dalla Costituzione.

La mancata collaborazione, criticano invece alcuni penalisti, non sarebbe sempre dettata dalla persistenza di legami con la criminalità organizzata, ma potrebbe derivare dalla volontà di preservare l'incolumità

propria e quella dei familiari, di non aggravare la posizione processuale o dal fatto di non voler coinvolgere parenti/amici barattando la propria libertà (o la fruizione di suddetti benefici penitenziari) con quella di terzi.

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