Da Snam a Invitalia, da Sace a Fincantieri, sono molti gli asset pregiati che saranno contesi nel round di nomine primaverili a cui il governo dovrà dedicarsi nelle prossime settimane. La partita delle nomine alle società partecipate è alle porte e si prepara a segnare uno degli appuntamenti tradizionalmente più importanti per la politica nazionale. Sono circa 350 le poltrone in ballo tra consigli di amministrazione, cariche di amministratore delegato e presidente, collegi sindacali e organi di garanzia di vario livello negli apparati a partecipazione pubblica controllati dal Tesoro, dalle sue braccia operative come Cassa Depositi e Prestiti o da altri dicasteri.
L'inizio del governo Draghi, nel 2021, ha impostato un cambio di rotta a un metodo di scelta che tradizionalmente vedeva partiti e coalizioni negoziare fino all'ultimo posto, all'ultima poltrona, all'ultima carica. In primo luogo, Draghi ha spostato il baricentro politico decisionale in materie di nomine dalla politica e dai partiti allo Stato. Rimettendo quest’ultimo laddove le sue prerogative gli consentono e gli impongono di stare: al cuore del processo decisionale, come principale azionista delle società in questione e come titolare delle capacità organizzative necessarie a orientare scelte e trasferimenti di competenze. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze guidato da Daniele Franco e il suo apparato organizzativo in mano ad Alessandro Rivera hanno acquisito in tal senso in tal senso crescente centralità. Al Mef il compito di vagliare, con l’ausilio degli head hunter, i profili ritenuti ideali per i consigli di amministrazione, le poltrone dirigenziali, le cariche di amministratore delegato per consigliare il premier. Il quale ha nominato come "plenipotenziario" in materia in seno all'apparato di Palazzo Chigi l'economista Francesco Giavazzi, che fonti vicine a Palazzo Chigi ci ricordano essere l'uomo più ascoltato dal premier negli uffici di Piazza Colonna.
In secondo luogo, il "metodo Draghi" ha voluto coniugare tre aspetti: discontinuità, apertura al mercato, destrutturazione di "cordate" interne alle partecipate. Discontinuità, perché nel 2021 aziende come Cdp e Ferrovie dello Stato hanno visto i loro management trasformati. Mercato e fine delle rendite di posizione di singole cordate politiche, perché il premier si è mosso epr sostituire classe di manager legati al sottobosco del potere romano un maggior numero di dirigenti orientati alla padronanza delle logiche dell’economia di mercato, dotati di visione strategica e di capacità di azione in campo italiano e internazionale. Nell'ottica di costruire un’alchimia politica che non faccia venire meno l’esigenza per le società partecipate dal Tesoro di essere punti di riferimento in mercato che le vede nei settori di riferimento come prime contractor ma sappia coniugarla con il loro ruolo di punti di riferimento per l’interesse nazionale in materia economica.
Questi principi dovranno, in quest'ottica, essere mediati con una nuova sfida: archiviato il Quirinale, archiviato l'anno dell'emergenza, avvicinandosi le elezioni politiche i partiti della maggioranza non sono più disposti a essere marginalizzati completamente in uno schema che nel 2021 li ha visti in grado di spartirsi solamente le poltrone dei cda senza mettersi di mezzo alla sfida della scelta delle cariche apicali. Su cui Draghi ha tenuto il punto, assieme al triumvirato Franco-Rivera-Giavazzi, per imporre il fedelissimo Dario Scannapieco a Cdp e Luigi Ferraris a Fs. Quest'anno lo schema avrà una geometria ben più variabile e Draghi non potrà non pensare agli interessi dei partiti che lo sostengono.
Sace e Invitalia: le nomine per archiviare l'era Conte
Il partito di Draghi, in particolare, sta focalizzando la sua attenzione su due asset strategici che hanno rappresentato sino ad ora l'ultimo baluardo, assieme al colosso infrastrutturale WeBuild, del partito romano nato nell'era giallorossa sulla scia del consociativismo tra Giuseppe Conte, Goffredo Bettini e Massimo D'Alema: Sace e Invitalia. Non a caso controllate al 100% dal Mef, apparato draghiano per eccellenza
La strategica società per l'assicurazione del credito estero è da poco passata da Cdp al Mef e ha recentemente visto l'uscita del presidente, l'ex partner di Ernst & Young e Rodolfo Errore. E Draghi, che di Sace è stato il primo presidente ai tempi in cui ricopriva la carica di direttore generale del Tesoro, ha un occhio di riguardo per questo asset pregiato, rivelatosi decisivo come intermediatore dei prestiti di Garanzia Italia. Visto l'accresciuta importanza della società, oggi l'ipotesi di una nomina dell'attuale direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera alla presidenza della società sembra di difficile attuazione. Probabilmente la scelta potrebbe ricadere su un altro importante dirigente del Mef, così da blindare il nuovo corso.
Ad Invitalia sembra avviarsi alla fine l'era di Domenico Arcuri, già sostiuito da Draghi dalla guida dell'emergenza sanitaria sul Covid-19. Arcuri, a sua volta figlio del partito dalemiano e protetto di Conte, è oggigiorno l'ultimo giapponese della loro cordata in seno agli apparati strategici dopo l'uscita di scena di figure di peso come Gennaro Vecchione, ex capo del Dis, e Fabrizio Palermo, predecessore di Scannapieco a Cdp. Arcuri, secondo quanto siamo in grado di apprendere, potrebbe essere sostituito dal suo numero due naturale: Bernardo Mattarella, nipote del Presidente della Repubblica, attualmente alla guida della Banca del Mezzogiorno.
Snam, Italgas, Fincantieri: nomine da concordare coi partiti
Laddove invece il controllo del Mef non è totale o è affidato a Cdp e altre strutture Draghi dovrà cercare maggiori compromessi rispetto al passato. In primo luogo, perché molto spesso le attuali leadership aziendali sono figlie di complessi intrecci istituzionali e i cda sono legati a precisi equilibri politici. In secondo luogo perché la maggioranza è a perenne rischio di incertezza e potenzialmente soggetta ad agguati politici.
Snam, Italgas e Fincantieri sono esempi di questo complesso intreccio istituzionale. Sulla carta, parliamo di tre società in salute e i cui risultati operativi sono stati chiari negli ultimi anni. Tuttavia, l'architettura gestionale è intricata: Snam è guidata da Marco Alverà, ad dal 2016 scelto dal governo Renzi; stesso discorso per Italgas alla cui guida siede Paolo Gallo. Le due società sono dentro alla holding Cdp Reti al cui interno vi è un non secondario investimento di State Grid of China, fattispecie che rende di questi tempi delicata ogni nomina nella galassia in questione. Fincantieri, invece, vede in sella dal 2002 Giuseppe Bono, decano delle partecipate scelto dal governo Berlusconi II e confermato da coalizioni di ogni colore politico e indirizzo. I partiti conoscono bene queste società e sanno che presidiano asset fondamentali per la sicurezza nazionale (reti energetiche, industria della difesa, tecnologie critiche), quote pregiate di export, importanti legami nei mercati globali.
Sul fronte delle aziende energetiche Alverà e Gallo hanno presentato importanti piani industriali per i prossimi anni e mirano a blindare la conferma con la transizione energetica tanto cara al governo e, soprattutto, all’Europa, necessaria per ottenere gli aiuti del Next Generation Eu. Vengono dati più in bilico i presidenti di Italgas, Alberto Dell’Acqua, e di Snam, Nicola Bedin. Toccarli, tuttavia, potrebbe essere rischioso, essendo stati nominati con il benestare, rispettivamente, di Lega e M5S ai tempi del governo Conte I. Ed essendo il Carroccio e i grillini i partiti più attenti a presidiare le proprie posizioni, Draghi deve muoversi coi piedi di piombo.
Fincantieri, invece, potrebbe vedere Bono passare la mano a un fedelissimo per assumere la carica di garanzia di presidente. La linea della continuità, in caso di successo del deal per l'acquisto da Leonardo dell'ex Oto-Melara vedrebbe la promozione di Giuseppe Giordo, attuale capo della divisione militare, o Fabio Gallia, attuale Direttore Generale, al ruolo di ad, rafforzando il peso del primo gruppo navale d'Europa nel mercato della Difesa del Vecchio Continente. Mentre un passaggio di OtoMelara in mani franco-tedesche alzerebbe le quotazioni per Luigi Matarazzo, attuale Direttore Generale della Divisione Navi Mercantili in Fincantieri. La scelta non è banale: la divisione marittima della Difesa guarda con maggiore attenzione al nuovo feudo di centro-destra del Nord-Est, il Friuli Venezia-Giulia, ove hanno sede i cantieri di Monfalcone, mentre Fincantieri come asset industriale per la cantieristica civile è più polverizzato e vede una quota fondamentale nella più contendibile Liguria. Logico che un focus maggiore in termini industriali, da una parte o dall'altra, potrebbe cambiare molto in termini di indotto economico e, di conseguenza, legami politici.
Fonti milanesi sentite da Il Giornale riportano anche che per cristallizzare gli equilibri attuali sarebbe stata al vaglio anche l'ipotesi di spostare Alverà a Fincantieri come ad, ma che la difficoltà di trovare una figura ragguardevole per sostituire il manager nel gruppo leader dei metanodotti frenerebbe per ora questa scelta. Su cui la negoziazione tra i partiti si aprirà a tutto campo.
Le altre nomine strategiche
Sarà invece premura dei partiti muoversi sulla scelta dei collegi sindacali in bilico:da Anas, a Rai, passando per Cdp, Poste Italiane, Enel, Fs e Ansaldo Energia, Enav e Consip gli organi di garanzia offrono, in seno alla maggioranza, spazio per tutti.
Guardando nella filigrana dell partecipate, altri enti dovranno tra aprile e giugno rivedere i propri cda e conoscere i loro nuovi ad e presidenti: Elettronica, partecipata di Leonardo, e Acciaierie d'Italia, presieduta dalla garanzia del re dei boiardi di Stato, Franco Bernabè, saranno tra queste. Italia Turismo e Sport e Salute saranno invece chiamate a rinnovarsi e acquisiranno valore strategico data la loro importanza per la partita del Pnrr e delle Olimpiadi del 2026. Infine, in tempi in cui si riapre la discussione circa una futura partita del nucleare andrà in scadenza Sogin, società partecipata dal Mef che si occupa di dismettere i siti in via di smantellamento e i rispettivi reattori.
La sfida, insomma, sarà complessa e a tutto campo.
E l'impressione è che Draghi non possa, ora più che mai, fare da solo. Le nomine richiamano la politica agli appetiti. E questo a suo modo è un segno del graduale ritorno alla normalità cui la politica dovrà abituarsi per esser chiamata, in futuro, a riprendersi le sue responsabilità
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