L'inchiesta catanzarese «Basso profilo» che ha colpito il segretario Udc Lorenzo Cesa, indagato per associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso, è deflagrata nel pieno delle trattative per la «caccia ai responsabili» lanciata dal governo Conte, alle prese con la ricerca di rinforzi per la maggioranza. Cesa, come è noto, era il principale indiziato, seppur recalcitrante. «Ho bloccato pure WhatsApp. Non capiscono che noi non ci muoviamo», aveva detto ad Augusto Minzolini parlando del pressing del governo su di lui. Il tutto poche ore prima che le forze dell'ordine bussassero alla porta della sua casa romana per perquisirgliela e notificargli l'avviso di garanzia. Quel provvedimento porta la firma del Gip di Catanzaro Alfredo Ferraro, ma la richiesta è di Nicola Gratteri, procuratore capo. Un magistrato stimato, poco allineato alle correnti «canoniche» delle toghe, tanto da replicare alle voci che lo volevano, in passato, vicino alla poltrona di ministro della Giustizia, ripetendo di essere solo «il felice procuratore di Catanzaro», pur precisando «per adesso». E già adesso, a dire il vero, Gratteri è molto, molto stimato proprio da una componente dell'attuale esecutivo: quella pentastellata. Gli attestati di vicinanza del M5s al magistrato non si contano, e con un po' di malizia viene da chiedersi come mai questa indagine su Cesa, che viene coinvolto per un pranzo di lavoro con alcuni protagonisti dell'indagine datato 2017, abbia finito per deflagrare proprio adesso, quando Cesa è più o meno suo malgrado al centro delle trattative in chiaroscuro per permettere al governo Conte di provare ad andare avanti lasciandosi alle spalle i venti di crisi. Gli arresti e le perquisizioni, la conferenza stampa e il clamore mediatico di ieri potevano arrivare due settimane fa, o tra due settimane, quando il topic politico sarà cambiato. Uno sgambetto, magari casuale, agli amici a cinque stelle? Perché per molti le notizie arrivate dalla Calabria con perfetto tempismo sono state una tegola per Conte, colto in pieno corteggiamento sui tre preziosissimi senatori del leader centrista, «bruciato» in diretta per via giudiziaria nel pieno del ballo.
Ed è curioso, però, che tra i primi a commentare la notizia in chiave «crisi» siano stati proprio i Cinque stelle, osservando come ha fatto il ribelle «Dibba» - che con un indagato per un'inchiesta sulla ndrangheta non si parla e non si tratta. Dunque la magagna giudiziaria è una rogna non solo per Cesa ma anche per il governo? Sembrerebbe. Ma forse, con il capo dimissionato per l'avviso di garanzia, potrebbe essere più facile convincere i senatori «orfani» a cambiarsi d'abito per indossare la casacca dei «costruttori».
C'è da capire come la prenderebbero i tanti pentastellati, base compresa, che da ieri manifestano il proprio plauso a Gratteri parallelamente al proprio malumore per la direzione che aveva preso la trattativa per l'espansione della maggioranza. Chissà, in altre parole, se la bomba calabrese di Gratteri e della Dia ha reso «impresentabile» il solo Cesa o anche i suoi, fino a ieri appetibilissimi, uomini a Palazzo Madama.
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