Cosa c'è dietro #IQuitMyJob: il fenomeno spopola anche sui social

Negli Stati Uniti milioni di persone stanno abbandonando il proprio posto di lavoro senza avere un'alternativa già pronta, e su TikTok c'è persino un hashtag con cui dipendenti filmano il proprio licenziamento

Cosa c'è dietro  #IQuitMyJob: il fenomeno spopola anche sui social

Milioni di americani, da mesi, stanno rassegnando le dimissioni e lasciando il proprio lavoro senza avere già pronto un cosiddetto "piano B". Il fenomeno, che ha preso il nome di Great Resignation, comprenderebbe circa 5 milioni di persone.

Oltre a una componente di carattere sociale, questa tendenza ha addirittura acquisito anche una patina social, se è vero che a partire dall'autunno 2020, in piena seconda ondata pandemica, centinaia di migliaia di lavoratori hanno iniziato a filmare l'atto di "licenziarsi" e postarlo su TikTok con l'hastag #IQuitMyJob. La "moda" è stata inaugurata inconsapevolmente da una giovane dipendente della catena di supermercati Walmart, che si è licenziata in diretta social comunicandolo a tutti via interfono.

Pur essendo difficili da interpretare, i numeri parlano di un aumento di dimissioni volontarie che da otto mesi consecutivi fa registrare cifre assurde, tanto che i datori di lavoro, specialmente nei settori a basso salario, stanno faticando a riempire le posizioni aperte. Le ragioni di questa tendenza sono ovviamente molteplici, ma uno dei fattori principali sembra essere che molti lavoratori non siano più disposti a sopportare la paga troppo bassa e le condizioni di lavoro, "rivalutate" a causa della (o grazie alla) pandemia.

Nel mondo anglosassone ormai si è soliti parlare infatti di Yolo Economy, acronimo di "You only live once" che starebbe ad indicare che l'equilibrio lavoro-tempo libero sia cambiato e l'esperienza estrema della pandemia, tra lutti, malattie, chiusure e incertezza dell'avvenire, abbia spinto molti a riconsiderare quali siano i precetti cardine della propria esistenza quotidiana. Non lavorare purché si lavori, ma puntare forte ad una qualità della vita al di sopra di quella che un'occupazione insoddisfacente garantisce.

Una filosofia da "carpe diem" che ovviamente riguarda parecchio i giovani, under 30, e che abbraccia settori variegati: dalla ristorazione alla consulenza, dalle piccole e medie imprese alle multinazionali. Anche se il tasso di abbandoni è più accentuato in quelle professioni che la pandemia ha esposto a rischi psico-fisici: ad esempio l'ospitalità, l'assistenza sanitaria e la vendita al dettaglio.

In altri contesti del mondo occidentale, come nel Regno Unito, la moda è già arrivata, con livelli record di posizioni lavorative aperte tra luglio e settembre 2021 (1,1 milioni, mai così alto da vent'anni) per via delle tante defezioni, mentre in Germania sempre più aziende (il 35%) lamentano la mancanza di lavori qualificati.

L'Italia fa storia a sé, almeno per il momento. È vero che in alcuni settori, come hospitality e ristorazione, gli abbandoni sono aumentati parecchio (157mila unità) e in generale, secondo il Ministero del Lavoro, da aprile a novembre 2021 le dimissioni sono salite del 23,2%, ma è anche vero che i vari enti, tra tutti Bankitalia, hanno da subito invitato alla calma e alla lettura più consapevole dei dati.
Molte dismissioni, infatti, erano magari già concordate da mesi, e i vari lockdown le hanno solo rimandate; ed è anche vero che nell'economia capitalista la percentuale dei cambi di impiego aumenta all'aumentare del benessere economico. Quindi i dati sulla ripresa del 2021 potrebbero già di per sé spiegare il fenomeno, di dimensioni tutto sommato contenute.

Ma in generale il periodo post-pandemico potrebbe coincidere con una rivoluzione di molti settori lavorativi, e riallocare parecchia forza lavoro.

Anzi, per le istituzioni governative sarà fondamentale intercettare questa transizione anche dal punto di vista normativo, visto che, con i contratti a tempo indeterminato che sembrano ormai un miraggio per molti, potrebbe rendersi necessario implementare un sistema di politiche che garantiscano il diritto alle transizioni occupazionali, appoggiando le scelte di centinaia di migliaia di persone che vorranno provare a cambiare percorso. Senza dimenticare, ovviamente, di sostenere i posti di lavoro che due anni di restrizioni rischiano di spazzare via per sempre.

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