Condannare Matteo Salvini per la nave Gregoretti avrebbe portato all'incriminazione di altri membri del governo dell'epoca: il premier Giuseppe Conte, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il suo collega dei trasporti, Toninelli. A dirlo non è stato l'avvocato del leader leghista, che pure della collegialità delle decisioni prese per gestire gli sbarchi ha fatto un asse portante della linea difensiva. A dirlo è il giudice che ha prosciolto Salvini, accogliendo la richiesta di archiviazione della Procura: il giudice preliminare Nunzio Sarpietro, presidente della sezione gip del tribunale di Catania. Che a botta calda, con il toner ancora fresco sul dispositivo di assoluzione, ha rilasciato due interviste spiegando per filo e per segno le motivazioni della sentenza: motivazioni che però devono ancora essere scritte, e che sono di solito l'unico luogo in cui il giudice dà conto dei suoi percorsi decisionali. Sarpietro ha invece pensato bene non solo di conversare a lungo con la stampa, ma di entrare a piè pari nel terreno più strettamente politico della vicenda.
È inevitabile riandare all'unico precedente di qualche rilevanza: l'intervista che il presidente della sezione feriale della Cassazione, Antonio Esposito, rilasciò al Mattino pochi giorni dopo avere pronunciato la sentenza che condannava in via definitiva Silvio Berlusconi per i diritti tv. Per quelle dichiarazioni Esposito finì sotto procedimento disciplinare e venne prosciolto: anche perché non era entrato troppo nei dettagli delle motivazioni. Mentre Sarpietro non si tira indietro di fronte a nessuna delle domande dei giornalisti che, come è ovvio e giusto, gli chiedono di spiegare passo per passo i motivi della decisione. «Salvini si è attenuto alle convenzioni - ha spiegato il giudice - disponendo che venissero salvati i migranti in difficoltà e ritardando lo sbarco di due o tre giorni, facoltà concessagli da un provvedimento amministrativo del febbraio 2019». Più che un proscioglimento, una riabilitazione in piena regola: Salvini ha salvato i migranti.
Sono dichiarazioni che nel giro di poche ore mettono ulteriormente il magistrato etneo nel mirino del vasto fronte che - dalle onlus cattoliche ai centri sociali - aveva in questi mesi indicato Matteo Salvini come l'autore di una sorta di crimine di massa, e che si vede smentito per via giudiziaria. Ma è inevitabile che a incuriosire di più nelle esternazioni di Sarpietro sia il passaggio in cui afferma che condannando il segretario del Carroccio avrebbe aperto la strada all'incriminazione di Conte, Di Maio e Toninelli. Sul piano logico non fa grinze, ma è chiaro che non può essere quello il percorso giuridico: se Sarpietro si fosse convinto della colpevolezza di Salvini avrebbe dovuto condannarlo, senza preoccuparsi delle conseguenze per Conte o per chiunque altro. Così torna alla memoria l'occasione precedente in cui, sempre per la vicenda Gregoretti, Sarpietro era uscito allo scoperto con una dichiarazione inconsueta: lasciando Palazzo Chigi dove aveva interrogato come testimone l'allora capo del governo si produsse in un endorsement a favore di Conte: «Rappresenta bene il paese», «ha fatto un ottima testimonianza», e via di questo passo. Certo, sarebbe eccessivo sospettare Sarpietro di avere ora assolto Salvini solo per non creare rogne a Conte. Ma interviste simili non si erano mai viste.
E infatti ieri Edmondo Bruti Liberati scrive che Sarpietro con le sue interviste ha «inaugurato un nuovo genere».(Si tratta peraltro dello stesso magistrato che il 28 gennaio, quando andò a Roma a interrogare Conte, si fece aprire un ristorante per una mangiata di pesce con la figlia)
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