Non dovrà accompagnarli a calci in carcere, ma volendo può farlo fino all'udienza preliminare, fissata per il 25 giugno prossimo, quando si deciderà se Grillo junior e i suoi ex compagni di vacanza dovranno finire alla sbarra. Dal giorno in cui Beppe Grillo ha postato l'ormai celebre video per «difendere» suo figlio Ciro e i suoi tre amici accusati con lui di stupro ai danni di una 19enne italo-norvegese, i tempi dell'inchiesta, che il fondatore M5s lamentava essere troppo lunghi, hanno visto una decisa accelerata.
Lo scorso 31 maggio la fase delle indagini preliminari si è chiusa con l'interrogatorio di Ciro Grillo, due ore di dichiarazioni spontanee rese ai carabinieri di Genova, delegati dal procuratore capo di Tempio Pausania Gregorio Capasso. Niente atto finale invece per Vittorio Lauria ed Edoardo Capitta, gli altri due coindagati che avevano chiesto di essere interrogati ma che, di fronte alla delega all'Arma, hanno preferito lasciar perdere. A quel punto, non essendoci altre richieste pendenti, la procura ha proceduto, come prevedibile, con la richiesta di rinvio a giudizio per i quattro: tutti accusati di aver stuprato la 19enne nella notte tra 16 e 17 luglio 2019, nella casa di Beppe Grillo in Sardegna, dove il gruppo si trovava in vacanza. Grillo, Lauria e Capitta rispondono anche dell'accusa di violenza contro l'altra ragazza ospite in villa quella notte, suo malgrado coinvolta in foto oscene con i tre mentre stava dormendo. Loro, ovviamente, sostengono che la ragazza fosse assolutamente consenziente. Ora la parola passa al gup che su quella richiesta della procura deciderà nell'udienza preliminare tra tre settimane.
A sbloccare la richiesta di mandare tutti a processo è stato proprio il passo indietro di Capitta e Lauria. L'intenzione dei loro difensori era quella di chiarire punti che secondo i ragazzi erano contraddittori nella ricostruzione della presunta vittima, che a verbale avrebbe negato alcune circostanze che secondo Grillo e i suoi amici erano invece provate da foto e immagini della serata. Ma la strategia dei due prevedeva un contraddittorio con i pm sardi o con la polizia giudiziaria che ha svolto le indagini in loco, persone che quella storia dell'estate 2019 la conoscono bene, e di fronte i due amici di Ciro speravano di poter modificare le convinzioni già radicate chiarendo episodi o svelando nuovi elementi. La delega ai carabinieri di Genova, invece, ha trasformato l'interrogatorio in un atto senza contraddittorio e di fronte a militari che di quella vicenda non hanno alcuna conoscenza specifica. Così, sia per velata polemica che per «sopraggiunta» inutilità, quell'atto finale, l'ultimo interrogatorio più volte annunciato, è saltato per due dei tre presunti aggressori che l'avevano richiesto.
Difficile spiegare dettagli come la foto notturna scattata davanti al tabaccaio che prova la presenza della 19enne - e che lei aveva negato - a chi non conosce gli elementi di quel fascicolo, o validare come prova del clima complice di quella notte il «like» che la ragazza avrebbe messo il giorno dopo la presunta violenza a un post su Instagram dei quattro ragazzi (su un profilo di gruppo chiamato «i mostri»), salvo poi toglierlo quando decise di denunciare la violenza.
Quei dettagli, secondo la strategia difensiva, andavano chiariti in un vero interrogatorio. E ora potrebbero tornare al centro dell'attenzione nel processo contro i quattro, nel caso in cui il gup dovesse accogliere la richiesta della procura.
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