Se il governo ha già deciso di allungare le mani dello Stato sulla rete di Tim - dopo Luigi Di Maio anche l'altro vicepremier Matteo Salvini si è espresso affinché l'infrastruttura passi sotto il controllo pubblico - ieri il gruppo telefonico ha vissuto una tesissima riunione del consiglio di amministrazione.
Sul tavolo l'avvenuta nomina di Luigi Gubitosi, che lascerà la carica di commissario di Alitalia, ad amministratore delegato di Tim dopo la sfiducia di Amos Genish. Manager che voluto dal socio di maggioranza relativa Vivendi (24%) che ieri ha ingaggiato una lotta senza esclusione di colpi per oltre due ore. Fino a chiedere ufficialmente tramite lo stesso Genish - la convocazione di un'assemblea entro la fine dell'anno o al massimo entro inizio 2019 per riacciuffare il controllo del board ora in mamo al fondo attivista americano Elliott. «Ogni decisione dobbiamo prenderla per il bene degli investitori e chiedo subito un'assemblea entro la fine dell'anno», ha detto l'ad uscente. La politica - ha aggiunto - «ha giocato un ruolo con successo, io credo che le decisioni degli ultimi giorni non siano nell'interesse degli investitori e non rappresentano l'interesse della base degli investitori. Ho chiesto al board di convocare subito l'assemblea, al massimo entro inizio 2019». In sostanza Vivendi potrebbe impugnare la delibera. Come era atteso la scelta di Gubitosi si è consumata quindi «a maggioranza» malgrado il previo via libera del comitato nomine giunto in mattinata; cioè con l'ostracismo dei francesi. Il cambio di ad era comunque scontato nei numeri, visto che sabato Elliott (secondo azionista del gruppo tlc con l'8% circa) aveva già coalizzato il voto favorevole di 10 consiglieri, contro il minimo di 8 necessario: il board di Tim ha 15 posti.
Diversa cosa, però sarà per Gubitosi e per il presidente Fulvio Conti gestire la frattura verticale apertasi nell'azionariato e nel board di Tim, dove Vivendi conta su 5 esponenti. Tanto che Genish non ha risparmiato critiche a Conti arrivando a dirsi «scioccato» per la subita defenestrazione, che ha definito, in una intervista al Sole 24 Ore - «perlomeno inusuale» e «non allineata con la best practice di corporate governance». In sostanza un viatico per il progetto di ribaltone allo studio di Vivendi.
Battaglia tra i soci a parte, Gubitosi - che ha una solida esperienza nelle tlc e un track record da risanatore e che percepirà lo stesso emolumento di Genish (800 milioni come direttore generale e 400 per la carica di ad) - dovrà ora rilanciare il gruppo tlc, portando avanti il progetto di separazione della rete, benvisto anche Elliott. Tutto questo sulla scia, peraltro, della benedizione arrivata ieri da Salvini al progetto di una integrazione dell'infrastruttura di Tim con Open Fiber, società che fa capo a Enel e Cdp. «L'importante è non cedere più infrastrutture strategiche per l'Italia a potenze o compratori straniere», ha affermato il ministro: «A volte meglio pubblico a volte meglio privato.
Dove passano dati sensibili italiani io preferisco che ci sia controllo pubblico». Infine sempre ieri il cda ha affidato al responsabile Security Stefano Grassi, la delega temporanea in qualità di delegato alla Sicurezza.
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