La guerra delle frontiere per fermare il Covid "Aprite", "Non se ne parla". È lite Berlino-Ue

Controlli in 9 Paesi. Bruxelles: così minacciata Schengen. Ira di Seehofer

La guerra delle frontiere per fermare il Covid "Aprite", "Non se ne parla". È lite Berlino-Ue

Tornano i controlli alle frontiere in nove Paesi dell'Unione Europa, per arginare la seconda ondata, limitare la circolazione delle varianti, stroncare sul nascere la possibile terza ondata di coronavirus in Europa. I controlli al confine sono ormai realtà in Belgio, Germania, Spagna, Repubblica Ceca, Danimarca, Ungheria, Austria, Portogallo e Finlandia. Alla lista si aggiunge la Norvegia, che non è membro dell'Ue ma è associata allo spazio Schengen.

Le istituzioni europee intervengono, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha mandato martedì una lettera agli Stati membri, per avvertire che serve «un approccio coordinato», è necessario «bilanciare la tutela della salute con la libertà di circolazione», fiore all'occhiello della Ue. L'area Schengen è minacciata, è il senso del rimbrotto. Ed è minacciata senza ragione, secondo la presidente: «Chiudere le frontiere - spiega von der Leyen - non è servito a fermare il virus. Ricorderete quando la primavera scorsa, all'inizio della pandemia, 17 Stati membri avevano introdotto misure di controllo ai confini» anche se «non tutti allo stesso tempo». Quei provvedimenti - dice - «non hanno fermato la diffusione virus, hanno anzi provocato problemi e difficoltà, danneggiando il mercato unico».

L'invito è a collaborare, per evitare che misure unilaterali danneggino tutti. Eppure, stavolta come durante la prima ondata, i Paesi si muovono in autonomia. In meno di due mesi, da dicembre a metà febbraio, sono saliti da 4 a 9 gli Stati dell'Unione che hanno ripristinato i controlli.

Alle critiche di Bruxelles ha risposto in anticipo, prima ancora del rimbrotto della Commissione, il ministro dell'Interno tedesco Horst Seehofer, falco dell'Unione cristiano-sociale (Csu) che è la storica alleata della Cdu della cancelliera Merkel in Baviera. «Basta - ha detto Seehofer alla Bild. «La Commissione Europea dovrebbe appoggiarci invece di metterci i bastoni tra le ruote». La Germania resterà in lockdown fino al 7 marzo dopo essere stata investita dalla seconda ondata. Berlino ha deciso di imporre controlli alle frontiere con la Repubblica ceca, dove circola la variante britannica e con l'Austria, dopo che in Tirolo si sta propagando velocemente la variante sudafricana. I controlli hanno creato code e ritardi al passo del Brennero. I governi hanno bisogno di accelerare contro la pandemia, è il senso dell'intervento del ministro tedesco. Anche perché - dice Seehofer - la Commissione «ha commesso sufficienti errori nell'acquisto dei vaccini negli ultimi mesi».

La diatriba solleva un altro tema, quello del «passaporto vaccinale» caldeggiato anche dall'Oms. Il ministro del Turismo greco, Haris Theoharis, ha annunciato che il suo governo è in fase di discussione con quello britannico, per arrivare a «un'estate quasi normale» di turismo in Grecia. Atene ha già stipulato con Israele e Cipro un patto in base al quale i cittadini con certificato di vaccinazione potranno viaggiare liberamente fra i tre Stati. La Danimarca punta a introdurre il passaporto già a fine mese. Ma anche su questo fronte, ognuno va per la propria strada. Parigi e Berlino frenano.

«La campagna vaccinale è appena cominciata in Europa perché ci siano più diritti per qualcuno», spiega il ministro francese degli Affari europei, Clément Beaune. Gli fa eco l'istituto indipendente tedesco German Ethics Council: i vaccinati potrebbero comunque diffondere il virus e un eventuale «privilegio» rischierebbe di creare disordini civili.

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