Nel Paese in cui sembra non esserci nulla di più soggettivo della verità dei fatti, passando dalle evidenze scientifiche della lotta al Covid fino ai conti in sospeso con l'eredità del Dopoguerra, sussiste un'anomalia che tormenta la vita quotidiana delle istituzioni. Politica e magistratura sperimentano gradi di separazione che vanno ben oltre il principio cardine che regge i poteri di uno Stato repubblicano. Il conflitto non occupa soltanto la vetrina dei quotidiani, ma permea nel profondo i rapporti di forza impedendo un confronto sereno e proficuo tra le parti. Basta leggere le cronache di queste settimane: il «sistema» della giustizia viene additato come l'esatto contrario di imparziale, operando spesso secondo logiche partigiane e seguendo un timing che suscita perplessità, se non autentico sospetto. Dall'altro lato della barricata, i custodi della volontà popolare espressa con il voto sono accusati di volersi sottrarre a qualunque giudizio materiale e morale.
Una dimostrazione «plastica» di tale dissidio avviene quando si sente invocare l'urgenza di una «commissione parlamentare d'inchiesta», ormai per le questioni più disparate. Solo nell'ultima settimana ne sono state richieste tre, da forze politiche di diversa estrazione: sulla gestione dell'emergenza pandemica durante il governo Conte II e sullo scandalo mascherine dannose; sull'amministrazione di Alitalia; sullo smaltimento dei rifiuti inquinanti in Toscana. Nella XVII legislatura, quella terminata nel 2018, i disegni di legge per richiedere la costituzione di una commissione d'inchiesta sono stati più di 130. Sui siti internet di Senato e Camera sono riportate le attività delle cinque commissioni bicamerali, più altre sei monocamerali, a oggi istituite. Al di là della legittimità delle singole iniziative, peraltro sancita dall'articolo 82 della Costituzione, colpisce come il Parlamento tenga a difendere uno spazio di conoscenza e di vigilanza «con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria».
Nell'Italia delle mille inchieste, delle cause in arretrato, della presunzione di colpevolezza fino a prova contraria e dei fascicoli aperti a tempo indeterminato, il braccio di ferro tra politica e magistratura non accenna ad attenuarsi. La ricerca della verità, a volte persino «alternativa» a quella ufficiale, continua a viaggiare su un doppio binario. Risultato: il Parlamento si occupa di giustizia e le toghe invadono la politica.
E se in una guerra la prima vittima è proprio la verità, in questa guerra tra poteri a soccombere è la fiducia dei cittadini in chi li rappresenta, nelle aule del Palazzo come dei tribunali. Anche per questo, le urne deserte sono un segnale che nessuno può permettersi di ignorare.
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