L'udienza si è tenuta mercoledì, nel cuore soffocante dell'estate, e ora si attende con ansia il verdetto del giudice civile italiano. In gioco c'è il controllo del Grande Oriente d'Italia, la più importante comunione massonica del nostro Paese. Lontano dai riflettori, da mesi si consuma uno scontro violentissimo che è esploso al momento dell'elezione del Gran Maestro, la guida del Goi. A marzo scorso le urne consegnano la vittoria di strettissima misura a Leo Taroni, espressione di una lista che vuole rompere con la gestione precedente del Goi. Ma dall'altra parte il risultato non viene accettato. Anzi, la Commissione elettorale nazionale ribalta in modo clamoroso il verdetto e assegna lo scettro a Antonio Seminario, il delfino del Gran maestro uscente Stefano Bisi che ha governato per dieci anni il Goi. Insomma, Seminario si allinea in continuità con Bisi, ma Bisi è a sua volta sotto accusa perché avrebbe comandato con metodi dittatoriali i massoni tricolori.
Chi pensa ad una disputa dai toni romantici, magari facendo leva sui ricordi incandescenti del Risorgimento, che certo ebbe una fortissima componente massonica, è fuori strada. Il patrimonio del Goi, controllato attraverso la società Urbs, supera ampiamente i 200 milioni di euro, e l'appannaggio del Gran Maestro, in carica per cinque anni, è di 130mila euro l'anno.
Fatto sta che la vittoria di Taroni si trasforma in una sconfitta. Il cavillo che fa saltare i risultati è banale: la Commissione elettorale nazionale, la cosiddetta Cen, decide di annullare le schede da cui non sono stati tolti i tagliandi antifrode.
Pochi voti, ma pesantissimi, anzi decisivi. Taroni, che aveva ottenuto 6.482 voti, quindici in più dell'avversario, scende a 6.343 e Seminario lo supera, attestandosi a 6369. Terzo, staccato, resta Pasquale La Pesa, a quota 688.
È un atto di giustizia o una sorta di golpe interno? I 23 mila massoni, che appartengono al Goi e si perfezionano col Rito scozzese antico e accettato, elaborato nel Settecento, sono probabilmente disorientati ma tutti gli organismi ufficiali accettano il nuovo risultato.
Così, come racconta in esclusiva il Giornale, la componente che fa capo a Taroni esce dal sacro perimetro della massoneria e con una ossa che la controparte giudica eretica si rivolge al giudice civile.
Mercoledì scorso l'udienza decisiva al tribunale di Roma. Taroni chiede di annullare i passaggi che hanno mutilato la sua vittoria. In pratica si rivolge allo stato italiano perché lo proclami Gran Maestro. Nei prossimi giorni dovrebbe arrivare la risposta che provocherà, in un senso o nell'altro, contraccolpi all'interno del mondo massonico. Uno scontro senza esclusione di colpi che ha travolto anche gli arbitri chiamati a giudicare la correttezza del voto: 8 contro 7. E così il talloncino antifrode è diventato la causa della defenestrazione di Taroni.
Ma i ricorrenti fanno notare che la mancata rimozione del tagliando non può essere causa di nullità. E nessun documento del Goi dà rilevanza al certificato nel procedimento elettorale. Insomma, il ribaltone sarebbe del tutto illegittimo e ora il tribunale dovrebbe ristabilire il risultato originale, riconsegnando il bastone del comando a Taroni.
Nell'esposto, si mettono in evidenza anche le espulsioni e i procedimenti disciplinari che avrebbero colpito l'area che fa riferimento a Taroni, in un clima tetro di epurazioni.
Negli ultimi anni sono emerse infiltrazioni della grande
criminalità nel mondo massonico e questo ha alimentato ulteriori polemiche sulla credibilità del Grande Oriente d'Italia. Anche per questo Taroni aveva lanciato la propria candidatura. Ora si attende la pronuncia del giudice.
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