Ben oltre i nove mesi di guerra, centomila soldati caduti o seriamente feriti in Ucraina, prospettive di tregua o di pace vicine allo zero, sanzioni occidentali che mordono nella vita civile di ogni giorno: non può meravigliare che il sostegno dei russi all'avventura militare imposta da Vladimir Putin cominci seriamente a vacillare. Pur premettendo doverosamente che le rilevazioni dell'opinione pubblica in Russia sono un esercizio difficilissimo, sia le cifre sia la fonte sembrano indicare un alto livello di credibilità. Sarebbero precipitati al 25% i russi che sostengono la continuazione del conflitto, mentre un solido 55% preferirebbe l'avvio di un negoziato per porvi fine. «Poiché è improbabile che la Russia ottenga importanti successi sul campo di battaglia nei prossimi mesi, è verosimile che per il Cremlino sia sempre più difficile mantenere anche solo una tacita approvazione della guerra tra la popolazione», si legge nel report del ministero della Difesa britannico. I dati sono stati raccolti «a uso interno» (cioè a uso del Cremlino e non per essere resi pubblici, ma sono finiti in mano all'intelligence britannica, che li ha diffusi) dal Servizio di protezione federale russo, e confermano quelli espressi da una rilevazione analoga effettuata nello scorso ottobre, che indicava nel 57% i favorevoli a colloqui di pace. Da notare che ancora nell'aprile scorso, meno di due mesi dopo l'avvio dell'invasione dell'Ucraina e quando già si stava palesando il fallimento dei suoi veri obiettivi, ben quattro russi su cinque sostenevano l'aggressione a Kiev. Il capovolgimento dei dati sembra avere due spiegazioni, entrambe legate alla mobilitazione parziale che ha arruolato circa 300mila civili russi da spedire al fronte: la prima, ovvia, è che la guerra ha cominciato a riguardare molto più direttamente milioni di persone che prima la osservavano da lontano; la seconda è il danno progressivo subìto dalla credibilità del regime, che fa sempre più fatica a coprire la realtà di una guerra vera e sanguinosa con la cortina fumogena della disinformazione di Stato. Mantenere il tacito sostegno alla guerra diventerà insomma giorno dopo giorno più difficile.
Intanto l'intensità del conflitto, a causa dell'avanzare della stagione fredda, si sta riducendo. Secondo la direttrice dell'intelligence degli Stati Uniti Avril Haines, la tendenza dovrebbe rimanere stabile per i prossimi tre mesi: entrambi gli eserciti hanno ora come obiettivo di consolidare le linee difensive (questo soprattutto i russi, che stanno ad esempio minando l'area urbana di Severodonetsk, conquistata dopo durissimi combattimenti la scorsa estate) e prepararsi a nuove offensive terrestri a partire dal prossimo marzo. Haines ricorda che la battaglia è ora in corso quasi solo sul fronte orientale di Donetsk e intorno alla strategica località di Bakhmut, difesa strenuamente dagli ucraini: qui i russi stanno impiegando ormai da settimane i feroci mercenari del gruppo Wagner.
Quanto alle prospettive generali del conflitto, e in particolare della prossima primavera, l'intelligence americana è piuttosto scettica sulla effettiva capacità dei russi di contrattaccare. Anche per una ragione direttamente legata all'efficacia delle sanzioni occidentali: la produzione delle munizioni in Russia è insufficiente a compensare le grandi quantità che vengono consumate in Ucraina. È questa una delle concrete ragioni per cui a Putin farebbe molto comodo una tregua. Un'altra inquietante notizia riguarda la piaga della deportazione in Russia di un numero altissimo di cittadini ucraini. In particolare, soltanto i minori portati via dagli occupanti sarebbero dodicimila, ma la cosa più tragica è che alcuni di loro sono stati costretti a combattere contro i loro stessi compatrioti.
Questa infamia è resa possibile dai referendum-farsa che Putin ha fatto tenere alla fine dello scorso settembre nelle province ucraine occupate di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia, che sono state poi annesse alla Russia. In base a questa finzione di stampo genocida, gli ucraini che vi risiedono diventano automaticamente cittadini russi, con i doveri militari che ne conseguono.
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