«Dov'è mio figlio? Avete seppellito il mio ragazzo». Ci può essere un grido di orrore e di protesta più cocente di quello di una madre orbata? La sua voce, fra mille grida di rabbia, di furia, di disperazione, si è udita ieri nella piazza dei Martiri di Beirut. La gente della capitale del Libano straziata, piangendo i suoi 158 morti e i suoi 5mila feriti, si è riversata nelle strade e ha gridato il suo definitivo rifiuto verso la classe dirigente corrotta e incapace che ha reso il Paese misero e ferito a morte.
Ci sono stati lacrimogeni, botte, ancora sangue per impedire ai manifestanti di raggiungere il Parlamento, gli slogan dicevano: «Andatevene, siete voi gli assassini»; «Il popolo chiede la caduta del regime»; «Vogliamo un futuro di dignità» E soprattutto: «Rivoluzione, rivoluzione!». I manifestanti hanno rimosso i blocchi di cemento che proteggevano il Parlamento, poi sono entrati al ministero degli Esteri, quindi hanno fatto irruzione in quello dell'Economia. Due veicoli della protezione civili sono stati dati alle fiamme poi altri mezzi ed edifici, la connessione internet è stata sospesa rendendo difficile la documentazione del «sabato della rabbia». Alla fine si conteranno un poliziotto morto, 238 feriti dei quali 63 abbastanza gravi da finire in ospedale. L'aria della città irrespirabile, il presidente Michel Aoun e Hassan Nasrallah impiccati in effigie dalla folla: che ha un'esperienza bruciante di quanto il puzzo della dinamite e la paura del domani abbiano a che fare con gli Hezbollah e il loro sciagurato dominio del Paese. Hanno visto attentati con centinaia di morti, quello antiamericano e antifrancese del 1983, quello che uccise Rafik Hariri nel 2005.
Nasrallah è nell'occhio del ciclone: il capo degli Hezbollah, l'organizzazione sciita, partito e gruppo terrorista, che controlla a forza quasi tutta la leadership del Paese incluso l'esercito, venerdì ha tenuto un discorso in cui negava ogni nesso con l'esplosione e minacciava velatamente chi avesse intenzione di mettere sotto accusa «la resistenza», ovvero il suo gruppo armato fino ai denti, e dunque il suo potente sponsor, il regime iraniano degli Ayatollah. Il discorso denunciava tuttavia la evidente crisi che adesso, per gli Hezbollah, potrebbe trasformarsi in un disastro storico. Ma che, invece, alternativamente, per Nasrallah, potrebbe essere un'opportunità.
Da una parte verrà riconosciuta agli hezbollah una responsabilità diretta o indiretta? Dalle analisi più quotate appare sempre più chiaro che non funziona la narrativa di Aoun di un vecchio accumulo di materiali infiammabili lasciato deteriorare al molo 12 dai tempi di Rafik Hariri (il primo ministro che sembra sia stato eliminato in città con mille chili di tritolo dagli Hezbollah); che invece quel molo e altri servivano per il rifornimento di armi che l'Iran destina a Hezbollah; che il nitrato di ammonio può arrivare a livelli di esplosione così giganteschi solo se vicino a munizioni e a carburante per missili. La catastrofe consta di una serie di esplosioni che ne confermerebbero l'accumulo vicino al nitrato di ammonio, e non di fertilizzante. Questa lettura degli eventi mette sotto indagine il cinismo che Hezbollah ha sempre dimostrato nel nascondere le sue armi, i suoi famosi 350mila missili, fra la popolazione civile, compresi 28 siti in Beirut stessa.
La crisi economica, il disastro, la sempiterna guerra cui Hezbollah costringe il Libano potrebbero portare l'organizzazione a una crisi forse definitiva. D'altra parte Hezbollah ha sempre trasformato le crisi in «business», come i postumi del guerra del 2006 e gli investimenti del Qatar, o la guerra siriana che ne ha fatto il gaulaiter militare plenipotenziario dell'Iran in Medio Oriente. Adesso che Cina, Turchia e Qatar, tutti amici dell'Iran, sono in testa alle offerte di aiuto, è chiaro chi gestirà la pioggia di denaro. E in che modo? le armi e la guerra sono lo scopo di Nasrallah, non i cittadini: «Conosco meglio il porto di Haifa di quello di Beirut», ha detto. Cioè sa come attaccare, «facendone una bomba atomica», i depositi di gas israeliani. Intanto Aoun suggerisce che sia stato Israele a colpire Beirut: ma le foto satellitari smentiscono l'ipotesi.
E il photoshop di un missile fasullo con le code di fuoco accese (non lo sono quando il missile è in caduta) si unisce alle fakenews, ma parla l'ethos di Israele che richiama indietro mille volte le più drammatiche operazioni se solo individua un bambino nelle vicinanze di un obiettivo.
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