«F agli vedere l'inferno, John! Quel cancro non ha idea con quale cervello si deve battere». Questo il cavalleresco commento di Barak Obama quando gli è stata data la notizia che il suo antico avversario alle presidenziali del 2008, il soldataccio ed eroe John McCain, ottantuno anni, aveva avuto un ictus e gli era stato diagnosticato un gliobastoma, un cancro al cervello «estremamente aggressivo». Aspettativa di sopravvivenza: fra i quattordici mesi e cinque anni.
Ma John McCain non si è mai pianto addosso e ha sempre idealmente indossato l'uniforme mentale e gestuale di un ufficiale della marina militare degli Stati Uniti, anche come rappresentante dell'Arizona al Senato. «Fra tutti, lui è l'unica persona calma e tranquilla», ha detto la figlia Meghan ieri dopo l'intervento d'urgenza con cui i chirurghi del Mayo Clinic hanno tolto il coagulo che gli aveva provocato un ictus e una parte della massa tumorale.
L'America è commossa senza distinzioni fra destra e sinistra, anche se non tutto è così limpido e altruista neppure nelle dichiarazioni di Obama che lo definisce con un piccolo eccesso di enfasi «un grande eroe americano». Il fatto è che il soldato John McCain, comandante della marina militare come tutti i suoi avi, pilota abbattuto in Vietnam dalla contraerea nordvietnamita, una terribile prigionia nel Nord Vietnam, picchiato a sangue e costretto a marciare in mutande per le strade di Hanoi, ai suoi aguzzini, come in un film di John Wayne, rispondeva a ogni domanda ripetendo soltanto il suo nome e numero di matricola.
Il fatto è che McCain durante la campagna presidenziale diventò un avversario molto pericoloso per Donald Trump che vedeva in lui incarnate le tradizioni repubblicane più severe e dunque più affascinanti per l'elettorato americano, fiero delle proprie guerre, anche di quelle perse come quella del Vietnam. E Trump, che menava colpi con un certo senso di inferiorità perché lui non ha alcun passato militare, disse che John McCain non era tutto sommato un buon esempio per l'America.
Trump non andò per il sottile: «Per me gli eroi sono quelli che non si fanno prendere prigionieri. Preferisco quelli che non si arrendono». La frase fece un brutto effetto, ma durante le presidenziali quasi tutti i colpi sono permessi perché, come recita il noto proverbio, quando arriva il gioco duro, tocca ai duri scendere in campo. McCain non si sdegnò, anche perché se l'era andata anche a cercare lanciando con Mitt Romney lo slogan «Non votate Trump», fra i repubblicani di fede conservatrice. Fu così che Donald reagì oltre le righe dandogli addirittura del codardo. Tuttavia questo dimenticato scambio di colpi rende un po' meno disinteressata l'enfasi di Obama nell'esaltare l'ex avversario, visto che ha colto l'occasione per dare una gomitata nello stomaco di Donald Trump.
Il vecchio soldato e senatore e quasi presidente si sta riprendendo piuttosto bene dall'intervento e del resto non è nuovo alle disgrazie fisiche: già una volta fu operato alla tempia per un cancro della pelle, e in guerra fu ustionato ed ebbe lo sterno fratturato in una esplosione su una nave da guerra. Inoltre, ebbe tre incidenti aerei compreso quello per cui fu preso prigioniero dei nordvietnamiti.
È un uomo pieno di cicatrici e di gloria, ferite di guerra e di cancro, bisturi e di ustioni che non hanno modificato di un millimetro la sua postura, la sua dignità, il suo coraggio pacato di fronte alla morte, non importa sotto quale veste.
Lo incontrai alcuni anni fa durante una cena ufficiale a Washington e rimasi colpito dal suo inatteso senso dell'umorismo: «Il fatto è, mi disse, che le mie origini sono metà inglesi, metà irlandesi e metà scozzesi. Quando uno è fatto di tre metà, deve poi dimostrare di saperle sostenere».
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