Tutti per la tregua, tutti per il piano Biden. Quello che Hamas ufficialmente non accetta, ma sul quale a Gaza stanno riflettendo, perché sanno che il tempo stringe e che il piatto degli aiuti sarà ricco. Ieri al G7 pugliese il presidente degli Stati Uniti, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha messo fretta a Hamas: «Deve muoversi», dicendosi moderatamente sfiduciato sulla positiva conclusione del braccio di ferro diplomatico, anche se «non ho perso la speranza».
Il piano originario presentato dalla Casa Bianca, e approvato dal consiglio di sicurezza dell'Onu, prevede in tre fasi dapprima il cessate il fuoco e il ritiro di Israele, poi la liberazione di tutti gli ostaggi e infine la ricostruzione della Striscia di Gaza senza consentire ad Hamas di riarmarsi. Hamas che ha proposto alcune correzioni che la stessa organizzazione definisce «trascurabili» ma che in alcuni casi sono irricevibili da Israele e dalla comunità internazionale, come la possibilità di selezionare 100 detenuti palestinesi nelle carceri israeliane con lunghe pene ancora da scontare da scambiare con gli ostaggi. Ma da Tel Aviv non c'è spazio per trattare: «Fino a quando non si porterà Hamas ad accettare il testo originario - rivela un funzionario israeliano ad Axios - nessuna delegazione israeliana sarà inviata al Cairo o a Doha per successivi colloqui». E anche i mediatori (Stati Uniti, Qatar ed Egitto) insisotono che sul piano originario di Biden Hamas deve prendere o lasciare.
Il divario tra le posizioni americane (e israeliane) e quelle di Hamas è ancora notevole ma il consigliere per la sicurezza nazionale degli Usa, Jake Sullivan, a margine del G7, appare ottimista: «Il nostro obiettivo è quello di capire come colmare il rimanente divario e arrivare a un accordo».
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan rovescia l'onere della prova e, nel corso di una conferenza stampa con il premier spagnolo Pedro Sànchez (che ringrazia per il riconoscimento dello Stato Palestinese), invita «gli Stati Uniti e i membri del consiglio di sicurezza dell'Onu che si riunisce lunedì» a «fare pressione su Israele per giungere a un cessate il fuoco. Le nostre priorità sono un cessate il fuoco duraturo e la garanzia di un flusso ininterrotto di aiuti umanitari». Di Medio Oriente, nel G7 pugliese, parla anche il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, che detta la road map: «Abbiamo tre obiettivi principali: il primo è un cessate il fuoco immediato e il rilascio di tutti gli ostaggi e sosteniamo tutti gli sforzi dei mediatori. Il secondo punto è facilitare l'accesso umanitario. Terzo punto: sappiamo che pace e sicurezza vanno di pari passo e crediamo nella soluzione a due Stati».
E nello stallo diplomatico, continuano a tuonare le armi, soprattutto al confine tra Israele e Libano, con il primo ad accusare Hezbollah (e alle sue spalle l'Iran) dell'escalation militare nella zona, di cui avrebbe la «responsabilità totale». Ieri almeno cento razzi lanciati dal Libano avrebbero attraversato il confine colpendo il territorio israeliano, solo in parte intercettati dalla contraerea, mentre per risposta i jet dell'aeronautica israeliana hanno colpito obiettivi militari di Hezbollah nel sud del Libano. Il portavoce del governo di Tel Aviv, David Mencer, assicura minaccioso che «attraverso sforzi diplomatici o in un altro modo, Israele ripristinerà la sicurezza sul suo confine settentrionale». Ieri sera si è riunito il gabinetto di guerra israeliano per la prima volta nel suo nuovo formato dopo le dimissioni del leader dell'opposizione Benny Gantz.
Intanto una nave mercantile partita dalla Malesia e diretta a Venezia è stata colpita da almeno un missile mentre navigava nel Golfo di Aden, al largo dello
Yemen. Si sospetta lo zampino degli Housthi, che ieri hanno attaccato anche una nave mercantile in transito nel Mar Rosso, a 82 miglia nautiche a nord-ovest del porto di Hodeidah controllato dai ribelli sciiti filo-iraniani.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.