Flachi, dai successi alla squalifica: "Gli haters hanno ragione. Ho sprecato la carriera"

Il successo, la squalifica, la cocaina. L'ex fantasista di Samp e Viola Francesco Flachi si racconta: "Ho vissuto in rovesciata"

Flachi, dai successi alla squalifica: "Gli haters hanno ragione. Ho sprecato la carriera"

Talento, estro, generosità ed errori, ma soprattutto riscatto sociale. Sono gli ingredienti della vita di Francesco Flachi. Classe 1975, Ha vestito la maglia di Fiorentina, Bari, Ancona, Samp, Empoli e Brescia, prima di essere squalificato per 12 anni. Positivo alla cocaina. Una vita rovesciata è il titolo della sua autobiografia e noi quella vita ce la siamo fatti raccontare.

Francesco, mi racconti i primi successi. Quelli belli.

«Tutti successi importanti: belli e brutti. Io ero un predestinato, me lo lasci dire. Poi le cose sono andate come sono andate».

È partito dall'Isolotto?

«Sì, un quartiere popolare di Firenze. Andavo a giocare, mi divertivo e basta. Quando entravo in campo facevo la differenza. Anche se gli altri ragazzini erano più grandi di me. Poi da lì sono passato alla Fiorentina».

Bel salto

«Sì. Ho fatto tutti i passaggi rapidamente. Esordienti, Primavera, prima squadra. Esordio in serie A a 18 anni nel 93: Fiorentina-Cesena 1 a 1. Tutto bello, tutto troppo veloce. Solo successi, poca vita vissuta. Troppo divertimento e poco impegno, niente sacrificio».

Ruolo?

«Seconda punta. Ricordo che andammo a giocare in Inghilterra. Io ero ancora in Primavera, mi portarono come riserva. Nel primo tempo vincevano gli inglesi 1 a 0 e io ero in panchina. Nel secondo tempo mister Ranieri mi disse: Entra tu. Feci il gol del pareggio, poi fornii l'assist per ribaltare il risultato e poi provocai il rigore per noi. Tre a uno. Quando tornammo a Firenze chiesi al mister: Torno in Primavera?. Resti con noi, mi rispose».

Aveva paura di stare in prima squadra?

«No. La presi con spensieratezza. O forse con incoscienza. E perciò non sono mai cresciuto. Mi sentivo già arrivato. La spensieratezza era una dote e un difetto».

Lei era famoso per la rovesciata

«La metafora della mia vita. La rovesciata mi faceva sentire diverso. A me piaceva sentirmi diverso. La rovesciata è istinto, non è pensiero. L'istinto ti fa fare cose bellissime e tante stupidaggini. Quando arriva la palla e sei spalle alla porta, non hai il tempo di pensare. Ti alzi in volo e tiri».

La sua vita è stata solo istinto?

«Istinto, incoscienza e altruismo. Ho sempre preferito dare agli altri ignorando me stesso».

Stava nell'Olimpo del calcio. Era considerato una promessa alla stregua di Del Piero, poi però la sua vita si è rovesciata.

«Sì, era il 2006 e giocavo nella Samp. In alcune intercettazioni veniva fatto il mio nome sulle scommesse. Ma io non ho mai scommesso. Mi hanno intercettato il telefono per mesi, non è uscito niente che mi incolpasse. Io ero innocente».

La Samp era forte in quel periodo?

«Giocavamo per la Champions League. Sarei stato un vigliacco se avessi scommesso a perdere. Io non ho mai scommesso».

E però la squalificarono

«Due mesi di squalifica».

Come la prese?

«Malissimo. Ero appena entrato nel giro della Nazionale. La squalifica mi costò molto. E iniziai a usare la cocaina».

Non lo aveva mai fatto?

«Sì, ma in poche occasioni, alle feste. Mai dentro il calcio».

Quella squalifica ha contribuito a far diventare la cocaina una dipendenza?

«Ho reagito nel modo più stupido a un'ingiustizia. So di avere sbagliato. Ero convinto di saper gestire quella roba. E invece mi travolse».

Dopo due mesi dalla squalifica per calcio scommesse tornò in campo...

«Poche partite. Poi mi squalificarono per la coca. Risultai positivo. E quella volta non furono due mesi ma due anni. Due anni fermo. Periodo tremendo. La fine».

E dopo due anni?

«Tornai di nuovo in campo, ma ad Empoli. Empoli non è Genova e io non ero più l'idolo dei tifosi come alla Samp. Ormai avevo 33 anni. Vicino al tramonto».

Come è uscito dalla droga?

«Ne esci quando arrivano le belle notizie e cambia l'umore».

Quale era la bella notizia?

«Mio figlio tra le braccia. Quella è stata la svolta vera. E poi il ritorno al calcio. Prima a Empoli, poi a Brescia».

E perché alla fine lasciò?

«Ero ancora in forma ma litigai con l'allenatore Iachini. E mandai tutti a quel paese».

Il calcio le manca?

«Moltissimo. È lo sport più bello del mondo. Però a certi livelli devi stare attento. Ti fa vivere delle emozioni pazzesche, che sono anche pericolose. L'adrenalina, l'entusiasmo della folla Può farti sbarellare».

Ha due figli. Come gliele hai raccontate queste cose?

«Non gliele ho mai raccontate. E loro non mi hanno mai chiesto nulla. Hanno saputo, dai social. Mia figlia sui social mi ha difeso coi denti dagli attacchi degli haters. Io le ho detto: Non farlo più, non rispondere. Hanno ragione, sono io che ho sbagliato».

Nell'ottobre scorso è stato colpito da un infarto.

«Ero a Genova, ero a casa. Allora allenavo il Rapallo. Però fumavo due pacchetti di sigarette al giorno. Mi sentii non tanto bene. Credevo di avere un problema di stomaco. Sentivo dei dolori al petto, ma duravano pochi minuti. È andato avanti tre giorni. Al quarto giorno, la sera, esco per andare dal tabaccaio e sento proprio il petto che prende fuoco. Provo a camminare. Non passa. Entro in un bar per bere una Coca Cola. Penso sempre a una congestione. Non passa. Torno a casa, mi stendo, non passa. Busso alla vicina e le chiedo se chiama la guardia medica. Lei chiama l'ambulanza. L'infermiere mi fa l'elettrocardiogramma e mi dice: Questo è infarto. Mi fa una flebo e mi passano i dolori. Arriviamo all'ospedale, ringrazio, e dico: Chiamo un taxi per tornare a casa. L'infermiere mi risponde: No, in sala operatoria e pure in fretta. Vena ostruita. Mi è andata bene».

Ora come sta?

«Ora voglio tornare ad allenare. Voglio il campo. Ho buttato la carriera e i soldi, però io mi riconosco una dote: sorrido sempre».

Ha smesso di fumare?

«Le devo dire la verità? No».

A un ragazzo a cui

succede quello che è successo a lei cosa dice?

«Gioca a pallone e non lasciarti andare. Gioca ogni singolo minuto al massimo delle tue forze. Se tornassi indietro non farei nessuna delle enormi cazzate che ho fatto».

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