Trema, si tampona il viso con il fazzoletto di cotone bianco. E con gli occhi grandi persi dentro la telecamera, confessa: «Eh si, ho ucciso io mia mamma, sto male. Non ce l'ho fatta, non ce la facevo più».
Lorenzo Carbone, 50 anni, resta inchiodato tra il microfono delle dirette tv del pomeriggio e il portoncino di casa. «Ma sei stati tu?». Ammette tutto, lo avrebbe ammesso probabilmente anche dopo meno di due minuti di interrogatorio davanti agli inquirenti, ma crolla così, inerme, per strada, in collegamento con Pomeriggio 5.
Mentre i carabinieri e i vigili del fuoco lo cercano dal giorno prima con i droni, a trovarlo sono i giornalisti di Pomeriggio Cinque, sotto la sua casa.
Lorenzo era il sospettato numero uno per la morte di Loretta Levrini, 80 anni, l'anziana madre con cui viveva a Spezzano di Fiorano, provincia di Modena, trovata morta domenica. A dare l'allarme era stata l'altra figlia, che era andata a trovare la madre malata nel pomeriggio.
Lorenzo ha tentato una goffa fuga, né pianificata né furba, a Pavullo, il paese accanto, dove ha girovagato tutta la notte per strada. Soltanto un istinto di allontanarsi da quel letto dove c'era la mamma morta, di dissociarsi da ciò che aveva fatto. Poi, quando si è trovato le telecamere di fronte ha confessato, fragile e indifeso, come a dire: se c'è la tv, allora è tutto vero, non ho scampo.
«L'hai strangolata?». «Sì, l'ho strangolata. Prima ho provato con il cuscino, non riuscivo, ho provato con la federa. E alla fine ho usato i nastrini, cioè i lacci» ha raccontato in evidente stato di choc.
«Perché?». «Non ce la facevo più, cioè, con la mamma ogni tanto litigavo, mi faceva arrabbiare, perché ripeteva sempre le stesse cose, perché 'la Nadia (la sorella, ndr) ha fatto il letto, ha fatto questo'. Era tra la demenza e l'Alzheimer, diceva cose strane, mi faceva male. Non riuscivo più a gestirla, non so perché l'ho fatto. Sto male».
Poi la mano a tappare la bocca, a coprire gli occhi, il pianto soffocato in gola, e quello sguardo spaventato, quasi a chiedere aiuto.
Secondo quanto riportato dal cronista di Pomeriggio cinque, l'uomo, che era in evidente stato confusionale, avrebbe poi raccontato di avere timore di essere picchiato dai parenti per quanto fatto. Non il carcere, quindi, ma la paura per la rabbia dei parenti a renderlo così nervoso. Alla domanda se fosse seguito da uno psichiatra o dai servizi sociali ha risposto di no. «Non sono in cura, da nessuna parte, mi è venuto così, d'istinto». Le indagini, coordinate dal pm Giuseppe Amara, chiariranno anche questo punto. In base a quanto raccontano gli abitanti del quartiere, mamma e figlio convivevano in quella casa da molti anni. Un rapporto quasi simbiotico, dice chi li vedeva in giro: schivi ma affiatati, almeno in apparenza.
L'amarezza sta nel constatare come la fragilità - evidente - di Lorenzo abbia
convissuto con quella della madre anziana, affetta, sembra, da demenza. E, prima di condannare il killer, va probabilmente scavato il disagio psichico dell'uomo, che probabilmente non era in grado di badare alla mamma malata.
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