A Hong Kong voto farsa. Tra arresti e censure la Cina cancella i ribelli

Escluso dalle elezioni anche Wong, il leader della protesta. Fermati quattro dissidenti

A Hong Kong voto farsa. Tra arresti e censure  la Cina cancella i ribelli

Torna a surriscaldarsi il clima a Hong Kong, e questa volta non c'entra nulla l'ennesimo colpo di coda (il terzo in pochi mesi) del Covid-19. È l'incerta situazione politica a tenere banco. Le tensioni con Pechino hanno nuovamente raggiunto livelli di guardia, al punto da far scattare addirittura le manette e l'esclusione di 12 (per ora) candidati alle prossime elezioni. Quattro studenti appartenenti al gruppo indipendentista «Studentlocalism» sono stati arrestati mercoledì con l'accusa di aver incitato la secessione. Si tratta dei primi fermi di natura politica in base alla nuova legge sulla sicurezza voluta da Pechino, che punisce col carcere duro i reati di separatismo, sovversione, terrorismo e collusione con forze straniere. La normativa, entrata in vigore il 30 giugno, attribuisce ampi poteri alla polizia per reprimere attività che minacciano la sicurezza nazionale. Il Partito comunista cinese afferma di averla imposta per ristabilire l'ordine, bollando gli arrestati come «delinquenti sovversivi che tentano di minare la pace». Il fronte anti-Pechino, che da oltre un anno manifesta per la democrazia ad Hong Kong e per il mantenimento del suo sistema liberale, accusa invece la leadership cinese di voler soffocare le aspirazioni della popolazione. Il neonato Dipartimento per la sicurezza nazionale delle Forze dell'ordine dichiara di aver arrestato i quattro giovani, tra cui Tony Chung, coordinatore di «Studentlocalism», per le idee espresse sui loro profili social. Nei post, sostiene la polizia, affermano di voler usare ogni mezzo per stabilire una repubblica a Hong Kong e di voler unire tutti i gruppi indipendentisti. Il Dipartimento nota che, secondo l'articolo 21 del provvedimento sulla sicurezza, fare dichiarazioni che promuovono la «secessione» equivale a incitamento, e l'arresto può scattare anche se il responsabile dell'atto non è motivato da tale intenzione. Alcune organizzazioni umanitarie, così come un gruppo di dissidenti di Hong Kong che vive in Giappone, hanno denunciato l'irregolarità dei fermi, sostenendo di essere in possesso degli screenshot delle pagine incriminate (prima che Pechino le oscurasse), prive di messaggi di matrice politica o comunque sovversivi. I quattro studenti, che hanno tra i 16 e i 21 anni, rischiano purtroppo l'ergastolo. A salvarli non è bastata la decisione, presa poco prima dell'approvazione della nuova legge, di sciogliere «Studentlocalism» a Hong Kong, e di demandare la lotta indipendentista ai suoi affiliati all'estero. L'adozione della normativa ha dato il via a una stretta repressiva nel territorio semi-autonomo. Per timore di subire una dura sconfitta alle elezioni parlamentari del 6 settembre, Carrie Lam, capo dell'esecutivo cittadino, potrebbe inoltre posporre il voto aggrappandosi a motivi sanitari legati alla pandemia di coronavirus. I partiti pro-Pechino temono che il movimento democratico possa ottenere la maggioranza nel LegCo (il parlamento locale), avendo già vinto a man bassa le elezioni distrettuali lo scorso novembre. Per queste ragioni nei giorni scorsi hanno preso vita «epurazioni» mirate di 12 candidati non graditi dall'establishment cinese. Tra i silurati figura Joshua Wong, leader carismatico delle proteste di piazza che alle recenti primarie aveva ottenuto 32mila preferenze personali.

Sono stati esclusi tra gli altri Dennis Kwok, Tat Cheng e Alvin Yeung del Partito Civico, i rappresentanti di Demosisto Tiffany Yuen e Lau Ventus, il consigliere distrettuale Lester Shum, il leader del Civic Passion Cheng Kam-mun e la giornalista Gwyneth Ho. Il governo di Carrie Lam ha voluto sottolineare che «è possibile che altre candidature vengano invalidate. Le liste sono ancora in fase di revisione».

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