«Myriam nascerà il 29 agosto». K. e A. sono due ragazzi che dicono di amarsi, lei ha solo 16 anni ed è incinta ma per lei questa gravidanza è un dono, non un peso. Lui è italo-egiziano, qualche precedente con la legge che giura di essersi lasciato alle spalle. Siamo a Niguarda, periferia di Milano e d'Europa, dove l'integrazione tra etnie e popoli è un miraggio, in un quartiere che ribolle tra diffidenza e degrado, spaccio e trapper, case occupate e poliziotti come contorno. L'amore incosciente nato tra queste macerie morali racconta di due ragazzi che hanno resistito, insieme, alle facili lusinghe dell'aborto loro prospettate come unica via d'uscita dalla famiglia di lei e dai servizi sociali. «Li hanno ostacolati», ci dice il legale del ragazzo, convinto che stavolta no, non è la solita storia della ragazzina che si innamora del duro per uscire da un tunnel familiare violento e tormentato. «Noi questo figlio l'abbiamo cercato, non è stato un caso», ci racconta K. davanti a un caffè, mentre la sua mano tatuata smanetta nervosamente il cellulare e una Marlboro Gold si consuma da sola. Le notifiche di Instagram pulsano di continuo, come un cuore battente. «Era la sigaretta del desiderio», ci dice sorridendo in un ottimo italiano questo figlio delle banlieue silenziose, classe 2001. Il desiderio è quello di costruire qualcosa di buono, di sano, di nuovo, di bello. Per lasciarsi alle spalle storie familiari che puzzano di sbarre e droga, di mamme consumate che hanno figli con uomini diversi, di lunari sbarcati a fatica, di una dignità e di una libertà che una nuova vita può restituire, in questi giorni in cui si combatte una battaglia sul ventre delle donne.
Chi pensa che ci sia lo zampino di quei rompiscatole dei prolife cattolici si sbaglia. La religione non c'entra, anche se la ragazza a 16 anni sogna l'abito bianco e il conforto di Allah, e Dio solo sa quanto ne ha diritto.
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