«È l'Italia che va». Era lo slogan utilizzato nel novembre del 1999 per la privatizzazione di Autostrade in uno spot nel quale Gigi Proietti con la sua voce suadente invitava i piccoli risparmiatori a correre in banca per prenotare le azioni del concessionario. A quasi ventidue anni di distanza è stato compiuto il tragitto inverso: ieri l'assemblea di Atlantia, holding che fa capo alla famiglia Benetton, ha dato il via libera alla cessione dell'88% della controllata Autostrade per l'Italia (Aspi) al consorzio guidato da Cassa depositi e prestiti (Cdp) assieme a Blackstone e Macquarie.
La «dinastia» di Ponzano Veneto, che tramite la cassaforte Edizione detiene il 30,25% di Atlantia tramite Sintonia, ha scritto così la fine della propria esperienza in ambito autostradale. Il crollo del Ponte Morandi di Genova il 14 agosto 2018 con la morte di 43 persone ha attirato sui Benetton il biasimo di politici e demagoghi, ponendo sotto la luce dei riflettori mediatici i riservati trevigiani, guidati da Luciano dopo la scomparsa del fratello Gilberto che si occupava direttamente delle questione finanziarie. La scelta di lasciare, dopo un'iniziale resistenza, ha così prevalso e, dopo le difficoltà tecniche nella messa a punto dell'exit strategy, ieri si è compiuto il passo d'addio.
Ora la palla passa alla Cassa depositi e prestiti da pochi giorni diretta da Dario Scannapieco (la nomina dell'ex vicepresidente Bei dovrà essere formalizzata oggi) che dovrà trovare una configurazione di mercato alla nuova gestione. Il successo dell'operazione è condiviso con il predecessore Fabrizio Palermo che ha interpretato la volontà politica di recuperare allo Stato un asset importante come i 3mila chilometri di rete gestiti da Aspi.
Nel dettaglio l'86,8% dei partecipanti all'assemblea ha approvato l'unico punto all'ordine del giorno, ossia la cessione di Aspi alla cordata guidata dalla Cassa. L'offerta del consorzio di Cdp era stata formalizzata il 29 aprile scorso, dopo mesi di trattative non sempre facili (inclusa l'incursione della spagnola Acs di Florentino Pérez), e valuta il 100% di Aspi 9,1 miliardi, riconoscendo una ticking fee (una percentuale corrisposta per compensare i flussi di cassa tra la firma dell'accordo attesa a fine giugno e la sua chiusura prevista nel primo trimestre 2022) del 2%. Percentuale che porta la valorizzazione complessiva a circa 9,3 miliardi. Atlantia, dunque, incasserà circa 8 miliardi per l'88,06% dalla controllata. Queste risorse non andranno direttamente agli azionisti ma resteranno ad Atlantia che, secondo quanto si apprende, potrebbe utilizzare in parte (4,5 miliardi) per azzerare il proprio debito, e in parte per nuovi investimenti (quasi 5 miliardi se si considera che la società ha già in pancia più di un miliardo di liquidità).
A titolo puramente ipotetico la quota spettante direttamente a Edizione, se l'incasso fosse ripartito tra i soci, sarebbe di circa 2,4 miliardi di euro. Nei giorni scorsi i tre principali proxy advisor (Iss, Glass Lewis e Frontis), le società che suggeriscono ai fondi di investimento come regolarsi per le assemblee societarie, avevano dato tutti l'indicazione di accettare l'offerta del consorzio guidato da Cdp. Cassa si è avvalsa di Citi e Unicredit come advisor, Rothschild ha assistito Macquarie e Lazard Blackstone. Il cda di Atlantia si riunirà il 10 giugno prossimo per assumere le determinazioni in merito all'offerta presentata da Cdp. Il mercato ha reagito bene alla decisione dell'assemblea con il titolo Atlantia che ha chiuso a 16,09 euro, in rialzo del 2,84 per cento.
Politicamente la vicenda si conclude con la sconfitta dell'ex ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, rimasto da solo a spingere per la
revoca della concessione (che sarebbe costata 22 miliardi allo Stato). Scontenti i parenti delle vittime che ritenevano Atlantia corresponsabile con Aspi del mancato assolvimento degli obblighi manutentivi del Ponte Morandi.
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