"L'inferno" al Beccaria: i blitz nelle celle senza le telecamere | Le carte

"Un clima infernale lontano dalla promessa costituzionale della funzione rieducativa della pena"

"L'inferno" al Beccaria: i blitz nelle celle senza le telecamere | Le carte
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«Un clima infernale lontano dalla promessa costituzionale della funzione rieducativa della pena». Ecco la descrizione di quel che avveniva, fino a poco tempo fa, al carcere minorile milanese Beccaria. È la gip Stefania Donadeo che ha firmato l'ordinanza di custodia in carcere per tredici agenti, a descrivere nero su bianco il «sistema» fatto di «violenze reiterate, vessazioni, punizioni corporali, umiliazioni e pestaggi di gruppo». Al punto che la giudice ritiene provata, oltre ai maltrattamenti e alle lesioni, l'accusa di tortura aggravata.

Secondo il provvedimento, i detenuti ammanettati, umiliati e privati degli indumenti sono stati una «res» in balia degli agenti. Altre ragioni giuridiche alla base del reato sono, per esempio, la «diffusione sistematica della violenza che ha determinato la maturazione di un'idea di normalità della stessa», la crudeltà per via dei «colpi ripetuti in parti del corpo sensibili provenienti da un numero elevato di persone che li circondavano anche mentre si trovavano già in stato di immobilizzazione o distesi per terra». Per dare una vaga idea degli abusi scoperchiati nell'inchiesta durata all'incirca due anni, nel massimo riserbo per evitare fughe di notizie, bastano un paio di episodi. Uno dei pestaggi sarebbe, per esempio, avvenuto ai danni di un ragazzo ritenuto dagli agenti responsabile di un incendio in una cella. Lo avrebbero circondato in sette, per poi ammanettarlo dietro la schiena.

«Mi è uscita la spalla - ha raccontato il giovane agli inquirenti - e gli dicevo: Per favore toglietemi queste manette che mi sta uscendo la spalla e mi era già uscita». In seguito, «hanno cominciato a darmele anche con forza». E cioè schiaffi, pugni e anche un calcio nelle parti intime. Il giovane ha spiegato che dopo le botte era stato messo in isolamento in una cella «nella quale, per i primi tre giorni, non era stato predisposto neppure un materasso e un cuscino per dormire». Un altro caso: un detenuto veniva fatto avvicinare alla finestra del blindo per spruzzargli addosso uno spray al peperoncino, poi il gruppo di agenti era entrato nella cella per colpirlo, «con calci e pugni» e poi anche «ammanettato e portato in una cella dove veniva denudato e trattenuto in tali condizioni, senza neppure una coperta, per circa un'ora». Nell'ordinanza viene descritta anche la tentata violenza sessuale a uno dei detenuti. Il giovane si trovava sdraiato sul suo letto quando l'agente si sarebbe avvicinato e lo avrebbe molestato, dicendogli «voglio solo fare l'amore con te». A quel punto il ragazzo avrebbe iniziato a colpirlo e per questo sarebbe arrivata una spedizione punitiva da parte di altri colleghi. L'eventualità di subire provvedimenti disciplinari veniva ritenuta, naturalmente, ingiusta. Ed ecco che nelle loro conversazioni intercettate si lamentavano perché «prima non c'erano le videocamere e allora si trovavano le scuse.. si il ragazzo ci ha aggredito bla bla bla. Mo' non è più come una volta.».

Ecco un'altra conversazione esaustiva, in cui gli agenti fra loro parlano delle «palate» (botte, ndr) ai detenuti: «Dalle immagini non sono messo bene () però vabbè, alla fine io lo so com'è che non gli devo lasciare un c infatti non ha un segno addosso».

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