I calciatori e l'abuso di gruppo. Lucarelli-Apolloni condannati

Tre anni e 7 mesi per il figlio di Cristiano e per il compagno. Stuprarono un'americana ubriaca. "Non ci fu consenso"

I calciatori e l'abuso di gruppo. Lucarelli-Apolloni condannati
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È arrivata un'altra sentenza per la quale lo stato di alterazione da alcol della vittima, e quindi l'incapacità di esprimere il consenso, conduce a una condanna per violenza sessuale per gli autori. È il caso di Mattia Lucarelli e dell'amico Federico Apolloni, entrambi calciatori, condannati a 3 anni e 7 mesi di carcere per avere abusato, in gruppo, di una ragazza statunitense di 22 anni che aveva bevuto molto e che, anche per questo motivo, non avrebbe potuto dire di sì a un rapporto sessuale consenziente, per di più con più persone. È stato riconosciuto dal gup Roberto Crepaldi lo stupro per induzione, ovvero «abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica» della giovane. Altri tre loro amici sono stati condannati a pene più lievi, dai 2 anni e 5 mesi ai 2 anni e 8 mesi di carcere, perché le loro condotte, quella sera a Milano, sono state più blande (palpeggiamenti e connivenza) e il giudice per loro ha riconosciuto la diminuzione per «minima importanza». La pena minima per la violenza sessuale di gruppo è 8 anni di reclusione, ma ha subito una drastica riduzione sia per via del rito abbreviato, che consente lo sconto di un terzo della pena, sia per la concessione delle attenuanti generiche. La pm Alessia Menegazzo, che ha coordinato l'inchiesta della Squadra mobile, aveva chiesto per tutti 3 anni e mezzo di carcere, senza differenziare ruoli e partecipazione, contestando la violenza sessuale per costrizione.

Il fulcro del processo è stato il presunto consenso della ragazza e infatti sia la procura sia la difesa hanno depositato delle consulenze tossicologiche e psicologiche sul suo stato di alterazione, giungendo a conclusioni opposte. D'altronde, come ha raccontato la stessa 22enne, non sapeva nemmeno come ci fosse finita, in quell'appartamento nei pressi di piazzale Libia. Ma ci sono dei video girati dai ragazzi che documentano quello che è avvenuto lungo il tragitto, dalla discoteca «Il Gattopardo», fino a casa. «I should go home» («Dovrei tornare a casa»), si sente dire alla statunitense. L'amica che era con lei, e che ha testimoniato nell'inchiesta condotta dalla Squadra mobile e coordinata dalla pm Alessia Menegazzo, ha detto che era «in un evidente stato confusionale: faceva fatica a parlare e a dire cose sensate». Gli imputati ieri sono tutti arrivati a Palazzo di Giustizia accompagnati da genitori e amici, come dei ragazzi qualunque. E tra loro c'era anche Cristiano Lucarelli, l'ex bandiera del Livorno, che nei mesi scorsi si è speso molto sui social in difesa del figlio Mattia. «Ci metto la faccia perché quel ragazzo l'ho cresciuto io, l'ho educato io», diceva su Instagram. Tutti dopo la sentenza sono andati via raggelati, circondati da telecamere, ma senza commentare. Solo uno dei loro avvocati, Margherita Benedini, ha detto ai cronisti: «I ragazzi sono devastati». Anche se poi Mattia Lucarelli ha affidato ai social il suo pensiero per la «batosta» ricevuta.

«Sapevamo di non combattere con i fatti ma con un momento storico e la pressione dei media che vuole la nostra testa senza indagare a fondo ma fermandosi ai titoli sensazionali per attirare l'attenzione», scrive in un storia pubblicata su Instagram. «Alle minacce e le offese siamo abituati ormai». Per la ragazza statunitense, assistita dall'avvocata Gaia Inverardi, il giudice ha stabilito un risarcimento provvisionale, immediatamente esecutivo, di 50mila euro.

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