«Non sono un assassino». Prima notte di galera, nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, per i due carabinieri condannati in via definitiva a una pena di 12 anni per aver ucciso Stefano Cucchi. Dopo la sentenza della Cassazione, Raffaele D'Alessandro e Alessio Di Bernardo si sono presentati in caserma e trasferiti nella struttura carceraria campana. «Cucchi non è morto per colpa mia», ha detto D'Alessandro. «Sono amareggiato per tutto questo - continua - ma rispetto la decisione dei giudici perché sono un carabiniere nell'animo». Non una parola alla famiglia Cucchi. Nei vari gradi di giudizio i carabinieri si sono sempre ritenuti non colpevoli della morte del geometra romano. Il motivo lo spiega uno dei loro legali: «La perizia certifica - dice l'avvocato De Benedictis - che Cucchi è morto come conseguenza dell'ostruzione di un catetere. Non è giusto parlare di omicidio preterintenzionale». Alle parole di D'Alessandro risponde la sorella della vittima: «D'Alessandro - commenta Ilaria Cucchi - deve riflettere ancora per comprendere cosa ha fatto se dice di non sentirsi colpevole. Ricordo quando disse alla moglie come si era divertito assieme al collega Alessio Di Bernardo a pestare quel tossico di merda. Quello di Stefano è stato un omicidio. Sono ancora frastornata ma serena per essere giunta alla fine di questo percorso per quanto riguarda gli autori del pestaggio. Sul maresciallo Mandolini, per il quale è stato disposto un nuovo processo d'Appello, non finisce qui. Ricordo che al primo processo, quello agli agenti di custodia, raccontò di quanto Stefano era stato simpatico quella notte sebbene fosse a conoscenza di quel terribile pestaggio».
Sette processi, uno alle guardie carcerarie e uno ai medici dell'ospedale Pertini nonostante i carabinieri sapevano cosa era accaduto la notte in cui Cucchi viene fermato con la coca. Gonfiato di botte anche quando, ammanettato, è a terra. È la «punizione» per il suo rifiuto alla fotosegnalazione. Alla direttissima i militari non spiegano al giudice che Cucchi non è un senza fissa dimora e, nelle sue condizioni, sarebbe potuto andare agli arresti domiciliari. Lesioni alla spina dorsale, versamento all'addome, costole fratturate. Poi la morte. Domani la sentenza di primo grado per gli 8 ufficiali alla sbarra per depistaggio.
Il pm Giovanni Musarò ha chiesto 7 anni per l'ex comandante del Gruppo Roma, generale Alessandro Casarza, cinque anni e mezzo al tenente colonnello Francesco Cavallo, ex comandante del Reparto operativo, 5 anni al maggiore Luciano Soligo, ex comandante della compagnia Montesacro e per il carabiniere Luca De Cianni, 4 anni per Tiziano Testarmata, ex comandante del nucleo investigativo, tre anni e mezzo per Francesco Di Sano, in servizio a Tor Sapienza, tre anni per Lorenzo Sabatino, 18 mesi per Massimiliano Colombo Labriola, comandante della stazione Tor Sapienza.
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