I cinema accusano Venezia «Così Netflix ci fa chiudere»

Alcune associazioni di categoria si ribellano al verdetto della Mostra. Il direttore Barbera: «Ma questo è il futuro»

Pedro Armocida

da Venezia

«Mi sembra chiaro che questo è il futuro del cinema», dice senza mezzi termini Alberto Barbera direttore della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica al tradizionale incontro di bilancio finale insieme al presidente della Biennale Paolo Baratta che ha annunciato i numeri tutti positivi dell'edizione di quest'anno (+12 per cento di biglietti venduti).

Il riferimento è alla vittoria del massimo premio, il Leone d'Oro, di Roma diretto dal premio Oscar Alfonso Cuarón e distribuito da Netflix. Ossia la piattaforma online, presente in 190 paesi, che vive e prospera in rete - aveva 50 milioni di abbonati nel 2014 e ora 125 - senza avere bisogno dell'uscita nelle tradizionali sale cinematografiche. Immediatamente sono arrivati i comunicati di allarme da parte di alcuni settori dell'esercizio cinematografico, come la Fice (Federazione Italiana Cinema d'Essai) e l'Acec (Associazione Cattolica Esercenti Cinema) insieme all'Anac (Associazione Nazionale Autori Cinematografici), che ritengono «iniquo che il marchio della Biennale sia veicolo di marketing della piattaforma Netflix che, con risorse ingenti, sta mettendo in difficoltà il sistema delle sale cinema italiane ed europee». Il comunicato, stranamente non firmato dalle due principali associazioni di esercenti - Anec e Anem - come invece era avvenuto prima dell'inizio del festival, si conclude chiedendo l'intervento del Ministro dei Beni e delle Attività culturali per «varare con la massima sollecitudine norme che regolino anche da noi, come avviene in Francia, un'equa cronologia delle uscite sui diversi media».

A questo tipo di obiezioni Barbera risponde senza infingimenti: «In futuro conviveranno piattaforme e sale, qualsiasi posizione che non tenga conto di questa realtà è perdente. Difendere solo un sistema legato al passato mi sembra una perdita di tempo». Aggiungendo inoltre che i tre film targati Netflix presentati in concorso (oltre a Roma, 22 July di Paul Greengrass e The Ballad of Buster Scruggs dei fratelli Coen), stando alle ultime notizie provenienti dalla piattaforma online, avranno anche una distribuzione in qualche sala cinematografica. Probabilmente Netflix sta pensando alle cosiddette «uscite tecniche» negli Stati Uniti per consentire la partecipazione agli Oscar.

Dalla sua Barbera nei giorni del festival ha incassato l'appoggio di due registi del calibro di David Cronemberg e Guillermo Del Toro che si sono espressi con chiarezza sulla questione. Il primo, a cui è andato il Leone d'Oro alla carriera, dicendo di amare Netflix per cui le polemiche di oggi sulle trasformazione sul cinema sono frutto solo di una nostalgia del passato mentre il secondo, presidente della giuria rivoluzionaria che ha assegnato il Leone d'Oro a un film targato Netflix, di fronte alle grida di allarme ha chiosato: «Le iperboli creano delle buone storie ma non sono la realtà, non è l'inizio delle fine di niente ma il proseguimento di un processo nato più di cento anni fa».

Intanto dopodomani uscirà Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, dedicato alla vicenda tragica di Stefano Cucchi, che è anche il primo film italiano che andrà in contemporanea sia su Netflix che in alcune sale cinematografiche sparse per l'Italia. Non le principali e non quelle dei multiplex proprio perché gli esercenti lo hanno boicottato.

Ad ogni modo già ieri mattina Alberto Barbera che, rispetto all'altra polemica di giornata sui film italiani usciti a bocca asciutta dal palmares veneziano aveva rivelato che «alcuni titoli sono stati in discussione fino alla decisione finale della giuria», aveva auspicato che si potesse

parlare e discutere con pacatezza della questione Netflix mentendo da parte «polemiche inutili e posizioni rigide e dogmatiche» e auspicando di «sedersi intorno a un tavolo per stabilire nuove regole che è giusto ci siano».

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