Il rialzo dei prezzi delle materie prime, iniziato già con la pandemia ma esploso dopo la guerra in Ucraina, sta mettendo in crisi le imprese edili. In gioco non c'è solo un settore che da solo vale il 5% del Pil nazionale ma anche una enorme porzione del Pnrr, oltre 100 miliardi di euro in cantieri, quasi la metà dei 220 miliardi dei complessivi di tutto il piano nazionale. Il rincaro per alcune tipologie di materiali come il ferro supera il 70%, il legno per gli infissi è salito del 78%, ma si arriva anche al 113% di aumenti (i nastri in acciaio per le barriere stradali) rispetto ai costi preventivati negli appalti, mettendo così in ginocchio le imprese. Al punto che, se non dal governo non arriveranno le risposte chieste dai costruttori, l'unica soluzione sarà chiudere i cantieri. Lo dice chiaramente Gabriele Buia, presidente dell'Ance: «I rincari delle materie prime sono ormai insostenibili per tutte le imprese del settore delle costruzioni. Se la situazione non cambia non resterà che chiudere, una impresa che lavora in perdita è una impresa che chiude. Conviene sospendere i cantieri e poi sarà il giudice a stabilire se è giusto o corretto applicare o meno le penali. Ma non posso credere che il governo voglia far fallire le imprese. Sarebbe un danno enorme per lo Stato perché si fermerebbero opere pubbliche e tutto l'indotto» spiega il presidente dei costruttori.
In settimana ci sarà un tavolo tecnico con i ministri Franco (Economia) e Giovannini (Infrastrutture) da cui le imprese si aspettano tre cose: compensazioni per gli appalti in corso divenuti insostenibili per via dei costi, revisione dei contratti per le opere non ancora iniziate e poi un nuovo modello revisionale che permetta di adattare i contratti (che sono pluriennali) alle oscillazioni repentine dei prezzi che cambiano anche settimanalmente (ad esempio i listini del ferro). Il problema riguarda non solo le opere pubbliche, ma anche l'edilizia privata, investita dallo stesso problema.
Il presidente di Ance Fermo, Massimiliano Celi, è ancora più drastico: «Con i prezzi dei materiali fuori controllo, le imprese ormai preferiscono iniziare il contenzioso piuttosto che finire i lavori. Noi costruttori ci troviamo a fare i conti da un lato con un aumento incontrollato dei prezzi e dall'altra parte con contratti blindati da prezzari di riferimento di per sé già bassi. Il legno, arrivando dal nord Europa, subisce il rincaro dei trasporti. Normalmente il tavolame per i ponteggi costa 280 euro al metro cubo, ora è passato a 500 euro. Il costo del ferro è passato da circa 1.05 al chilo dal fornitore a 1,60. Sembra poco, ma il ferro non si compra a chili, quindi l'aumento è grande». E poi il cemento, «su cui impattano il costo del gas dovuto al conflitto in Ucraina e la speculazione finanziaria», e il calcestruzzo, «che dal primo maggio aumenterà di 15 euro al metro cubo». Il rischio è se i bandi di gare delle opere previste dal Pnrr non terranno conto delle nuove condizioni economiche del settore, nessuna impresa si accollerà il rischio di lavorare in perdita. «Già ora ci sono gare di enti pubblici che stanno andando deserte: nessun imprenditore pur di lavorare metterebbe a rischio il futuro della propria azienda».
Lo stesso allarme che suona Unimpresa.
In un documento l'associazione guidata da Giovanna Ferrara mette a fuoco l'impatto dei rincari, in particolare quelli dei materiali comprati all'estero, sugli appalti per la costruzione e l'ammodernamento di importanti infrastrutture, «prezzati» prima della guerra. Per arrivare alla stessa conclusione: a rischio ci sono i 40 miliardi di euro del Pnrr stanziati per il 2022.
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