I due incubi di Renzi: crollo sotto il 20% e disfatta in Meridione

L'ex premier studia l'exit strategy in caso di débâcle. A rischio la poltrona da segretario

I due incubi di Renzi: crollo sotto il 20% e disfatta in Meridione

Due incubi agitano la vigilia del voto al Nazareno: il crollo sotto la soglia del 20% per il Pd e un massacro elettorale al Sud nei collegi uninominali. Matteo Renzi trascorre le ultime ore, prima dell'apertura dei seggi, in famiglia, ma ha un solo pensiero in testa: preparasi al peggio. Studiare l'exit strategy in caso di tracollo. E il tracollo per Renzi è un partito che non superi la soglia del 20%. Una percentuale che si tradurrebbe in un cappotto a favore del M5S e del centrodestra in tutti collegi da Roma in giù.

Dalla Toscana, il rottamatore cerca di capire che aria tira, consulta per l'intera giornata i coordinatori regionali; Renzi vuole avere un quadro chiaro sui collegi in bilico. L'ex premier confida ai fedelissimi che in caso di sconfitta nei collegi, il Pd non riuscirebbe più a giocare un ruolo chiave in Parlamento all'indomani delle elezioni. Ci sarebbero subito gli avversari interni, da Andrea Orlando a Dario Franceschini, che chiederebbero al segretario di farsi da parte. Renzi teme l'effetto del voto utile: con un Pd fuori partita, c'è il rischio che l'elettore scelga tra M5S e centrodestra nei collegi maggioritari. Uno scenario che equivarrebbe a una Caporetto nei piani renziani con una sconfitta in tutti gli uninominali nel meridione. Nel Mezzogiorno, il Pd governa quattro Regioni: Campania, Basilicata, Puglia e Calabria. Eppure, non sembra esserci storia per i candidati del Nazareno nel maggioritario. Solo in quattro collegi, tra Puglia, Campania e Basilicata, il centrosinistra contenderebbe la vittoria agli sfidanti; negli altri i giochi sono praticamente fatti. In Sicilia e Sardegna il cappotto è già una certezza.

La scelta di schierare i ministri nei collegi è stata la mossa disperata per raddrizzare la barca, che però continua a navigare verso la tempesta elettorale. L'immagine rilassata delle regionali del 2015 del segretario dei dem e di Matteo Orfini che attendevano i dati giocando alla play station è solo un lontano ricordo. Stavolta l'attesa è carica di tensioni e timori: Renzi non scenderà a Roma nel quartiere generale dei democratici ma resterà nel bunker della propria casa fiorentina a seguire lo scrutino. Nei pensieri dell'ex presidente del Consiglio non c'è solo la partita dei collegi ma soprattutto la tenuta del Pd: nel giglio magico si teme la sindrome Bersani. Nel 2013, il Pd guidato dall'allora segretario Pier Luigi Bersani raccolse il 25: un risultato che l'ex ministro pagò con la poltrona di segretario. Ora, Renzi, accolto come un «salvatore», potrebbe fare peggio. È vero, c'è stata la scissione, ma il Pd rischia di finire addirittura sotto il 20%: un verdetto che trasformerebbe una sconfitta annunciata in disfatta. E con un tracollo così, difficilmente, Renzi riuscirebbe a mantenere la poltrona di segretario. Il leader del Pd ha messo le mani avanti, annunciando che qualunque sia l'esito del voto non mollerà la guida del partito. Ma saranno i numeri a determinare la scelte. Un Pd sotto il 20% aiuterebbe M5S, Forza Italia e Lega, che condurrebbero le trattative con Mattarella per il nuovo governo.

E la campagna elettorale si chiude con l'ultima fake news: un retroscena diffuso sul web secondo cui Renzi e Berlusconi

si sarebbero incontrati in via Montenapoleone a Milano il 25 febbraio per concordare un nuovo Nazareno. Il portavoce di Renzi smentisce nettamente: «Matteo era a Milano ma ha incontrato 300 imprenditori e non Berlusconi».

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