Il Consiglio europeo di Bruxelles sta dimostrando che l'Europa esiste sulle carte geografiche, ma politicamente è ancora un fantasma. Ieri il terzo giorno di trattative non ha fatto che confermare l'inconciliabilità delle rispettive posizioni: la sessione plenaria prevista per mezzogiorno non è mai iniziata nonostante tre rinvii alle 16, alle 17.30 e alle 19. I vertici bilaterali che si sono succeduti per tutta la giornata hanno prodotto solo l'avvicinamento dell'Ungheria di Orbán alle posizioni dell'Italia. «È uno stalinista», ha detto il capo di Stato magiaro del premier olandese Mark Rutte, capofila dei frugali (che, oltre all'Olanda, comprendono Austria, Danimarca, Svezia e la new entry Finlandia). È una scelta di comodo, quella di Orbán, visto che i frugali non vogliono elargire fondi nemmeno ai Paesi dell'Est come Polonia e Ungheria, perché oggetto di procedure di infrazione sul rispetto dello stato di diritto.
La cena dei 27, iniziata alle 19.30 si è rivelata un mezzo flop perché il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha presentato una proposta informale di negoziato la cui base è la riduzione da 500 a 400 miliardi dei sussidi a fondo perduto sui 750 miliardi del Next Generation Eu. Un tentativo in extremis («Siamo di fronte a una crisi senza precedenti, non presentiamo il volto di un'Europa debole», ha detto Michel) di trovare un'intesa con i frugali che chiedevano una riduzione dl Recovery Fund da 750 a 700 miliardi, equamente suddivisi (350 miliardi rispettivamente) tra sussidi a fondo perduto e prestiti. Un'ipotesi rispedita al mittente da Italia, Spagna e Francia con la Germania che ha cercato fino all'ultimo di mediare. Già in questa forma l'Italia non solo perderebbe una quindicina di miliardi di grants (da 81 miliardi a 65), ma sarebbe costretta a sottostare alla riduzione di altri capitoli di spesa di Next Generation Eu e del bilancio europeo. In primis, la Solvency facility per aiutare la ricapitalizzazione delle imprese colpite dalla crisi per la quale la Commissione proponeva di stanziare 26 miliardi, cancellati con un tratto di penna. Di qui la minaccia di veto ai rebates, gli sconti ai versamenti al bilancio comunitario di cui godono l'Olanda e i suoi sodali.
Il vero punto di scontro tra Roma e l'Aja è sulla governance, cioè sul monitoraggio dei piani nazionali di riforma con Rutte che spinge per il diritto di veto (cioè per l'unanimità delle valutazioni da effettuare in Consiglio Ue) e Conte che non vuole affidare il compito ad altri che alla Commissione Ue che vota a maggioranza qualificata. Michel ha cercato di far presente che l'Olanda ha ottenuto quasi tutto ciò che ha chiesto incluso il «freno di emergenza» (la possibilità per un Paese di deferire al Consiglio Ue un altro Paese che non stia attuando le riforme).
I frugali restano indispettiti ma, salvo sorprese, si continuerà a trattare anche oggi. L'unica buona notizia, insomma, è che il vertice dovrebbe proseguire per il quarto giorno consecutivo e non sia stato chiuso senza intese, sebbene la cancelliera Angela Merkel, presidente di turno dell'Ue abbia dichiarato di non dare per scontata una soluzione.
«Dal mio punto di vista, è meglio concordare un pacchetto ambizioso di aiuti finanziari, anche se ci vuole un po' più di tempo. Spero che i leader siano d'accordo su qualcosa di ambizioso piuttosto che veloce», ha dichiarato a Reuters la presidente della Bce, Christine Lagarde, auspicando un'intesa sulla proposta originaria della Commissione.
Un segnale di distensione inviato alle Borse che oggi potrebbero reagire negativamente. Il bazooka dell'Eurotower resterà, com'è stato fino ad oggi, l'unico mezzo per fermare la risalita degli spread e la fine dell'intera Ue.
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