"Li ho uccisi tutti io". E il killer ammise in tv la mattanza in famiglia

"Li ho uccisi tutti io". E il killer ammise in tv la mattanza in famiglia

l segreto di Ferdinando Carretta è durato ben nove anni. Lungo i quali tutti credevano che lui e la sua famiglia fossero scappati. «Sono fuggiti all'estero, in Sud America», era il passaparola tra vicini e amici. «Li hanno avvistati ai Caraibi, a Barbados», ripeteva qualcuno. Invece padre, madre e fratello minore di Ferdinando erano sottoterra. E ce li aveva messi lui, 26enne che con il padre litigava spesso, dopo averli ammazzati con una pistola Walther calibro 6.35.

È l'ora di cena del 4 agosto 1989 nella casa di via Rimini 8 a Parma, ormai 30 anni fa. Il giorno dopo la famiglia Carretta sarebbe dovuta partire per le ferie in camper. Nessuno quindi, per molto tempo, si stupirà per l'assenza del padre Giuseppe, cassiere in una fabbrica vetraria, della madre Marta Chezzi, casalinga, e dei figli Ferdinando e Nicola. Ferdinando stermina la famiglia quella sera, spara a tutti e tre. Ammassa i corpi nella vasca da bagno e il giorno dopo li avvolge in teli di plastica e li porta in auto alla discarica di Viarolo, non lontano da Parma. I resti dei Carretta non verranno mai ritrovati e neppure l'arma del delitto. Ferdinando trascorre i tre o quattro giorni successivi a ripulire l'appartamento in modo maniacale, piastrella dopo piastrella. Alla fine falsifica la firma del padre e incassa due assegni per un totale di 6 milioni di lire, prende il camper e scompare anche lui.

Della strage dei Carretta non resta neppure una traccia, neppure un indizio. Un giallo degno di Agatha Christie. I parenti cominciano a preoccuparsi a fine agosto, quando la famiglia non rientra dalle vacanze. Parte la denuncia e del caso si occupa anche Chi l'ha visto? che debutta proprio in quell'anno condotto da Donatella Raffai. È durante una puntata del 19 novembre 1989 che una telefonata in diretta segnala un camper abbandonato in un parcheggio di viale Aretusa a Milano: il Ford Transit della famiglia sparita. Di turno in Procura c'è Antonio Di Pietro, all'epoca sconosciuto pm. Di Pietro non crede alla fuga volontaria e apre un fascicolo per omicidio. In assenza di riscontri materiali, l'inchiesta però verrà archiviata. Tiene invece banco la favola dei Carretta che se la godono chissà su quale spiaggia grazie ai miliardi trafugati da Giuseppe dalla cassa della sua azienda (che ha sempre smentito queste voci). I principali quotidiani italiani mandano persino gli inviati in posti esotici sulla scia dei presunti avvistamenti.

Le tessere del mistero cominciano a crollare una sull'altra nel 1998. La prima, come spesso accade, cade per puro caso pochi mesi prima della dichiarazione di morte presunta dei Carretta. Un giorno di novembre Ferdinando, che fa il pony express a Londra, viene multato da un agente del Metropolitan Police Service. Il fermato fornisce un documento con la data di nascita autentica intestato ad Antonio Ferdinando Carretta. «Sono molto legato al mio cognome», spiegherà. Antonio è effettivamente l'altro nome di Ferdinando Carretta, che però compare solo sul certificato di nascita. Lo scrupoloso poliziotto, rientrato in Centrale, fa un controllo in archivio su quel giovane italiano che gli aveva detto di venire da Parma. E scopre che compare nella lista delle persone scomparse dell'Interpol insieme alla sua famiglia. Londra avvisa Roma e Roma gira la segnalazione alla città emiliana.

Il pm Francesco Saverio Brancaccio fa le prime verifiche. Parte per Londra il maresciallo Alfio Manoli, memoria storica del caso Carretta, che insieme alla polizia inglese ricostruisce gli ultimi anni di Ferdinando e trova il suo indirizzo recente. Il fuggitivo ha sempre vissuto a Londra, ha cambiato spesso residenza, gravitando in periferia. Ha fatto lavoretti saltuari e ha anche incassato il sussidio di disoccupazione. Alle domande degli inquirenti il 36enne risponde di non avere notizie dei suoi da anni. Ma qualche sera più tardi arriva il nuovo colpo di scena, sempre davanti alle telecamere di Chi l'ha visto? Ferdinando confessa gli omicidi. Il tono è pacato, lo sguardo fermo: «Ho preso quella pistola, quell'arma da fuoco... e ho sparato ai miei genitori e a mio fratello. I corpi? Sono rimasti nell'appartamento e poi ho cercato al meglio che potessi di eliminare ogni traccia, sangue, bossoli, queste cose qua insomma... e di pulire l'appartamento al meglio che potessi. È stato un atto di follia, un atto di follia completa».

La Procura cerca conferme nella casa di via Rimini, là dove tutto è cominciato. Al tempo degli omicidi le tecniche di investigazione scientifica erano considerate fantascienza. Nel 1998 invece i carabinieri hanno a disposizione nuovi metodi e nuovi strumenti. Come il Luminol, che pochi avevano sentito nominare e che permette di rilevare su una superficie tracce di sangue anche minuscole e anche dopo molto tempo. Infatti il Cis, quello che oggi è il Ris, allora guidato da Luciano Garofano, trova la chiave per risolvere il mistero. Sotto il portasapone accanto alla vasca c'è una traccia di sangue piccolissima, un «misto dei tre Dna» delle vittime.

Il resto è storia processuale. Nel 1999 la Corte d'assise di Parma dichiara Ferdinando Carretta colpevole ma non imputabile per vizio totale di mente al momento degli omicidi. Su quest'ultimo punto tutti i consulenti (tra loro anche Vittorino Andreoli) erano stati concordi. I giudici decidono che deve trascorrere cinque anni nell'Opg di Catiglione delle Stiviere. Il pm aveva chiesto l'assoluzione e il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario per dieci anni. Poi Ferdinando passa in una comunità di recupero e in libertà vigilata. Nel 2008 grazie a un accordo con la zia ottiene in eredità, oltre al denaro, l'appartamento della strage. Nel 2015 è tornato in libertà ed è andato a vivere a Forlì, in una casa comprata con il ricavato della vendita di quella di Parma. In Opg ha studiato informatica.

«Risponde bene alle cure - dichiarò il suo legale, Filippo Dinacci, dopo la prima sentenza - Speriamo che riesca a reinserirsi nel mondo normale, un giorno o l'altro». Ferdinando Carretta oggi ha 56 anni: « Vorrei solo essere dimenticato», ha detto alla Gazzetta di Parma.

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