Una lista, diciotto nomi, una proposta di governo. Dopo aver strappato un faccia a faccia con il segretario generale Ugo Zampetti, che il Quirinale ha subito derubricato in «incontro di cortesia istituzionale», ora Luigi Di Maio ci riprova, spedendo al presidente una mail con l'elenco dei suoi ministri. Mattarella però stavolta si è seccato davvero. Nessuna sponda, nessun avallo ai giochetti del M5s: «I nomi indicati - fanno sapere dal Colle - adesso non potranno essere presi in alcuna considerazione». Anzi, «nemmeno verranno guardati». E perfino Gentiloni usa toni severi: «Surreale presentare un governo ombra prima delle elezioni».
La manovra dei Cinque Stelle ha un doppio obiettivo. Il primo, il più semplice, è quello di cercare di sfruttare negli ultimi giorni di campagna elettorale questi contatti con il Quirinale, facendo vedere di «essere pronti» ad andare alla guida del Paese. Il secondo, a media scadenza, è più ambizioso e riguarda la costruzione di un profilo istituzionale per Di Maio in vista di un possibile incarico di governo. Infatti l'altro giorno il candidato premier grillino ha subito utilizzato il rimbalzo dell'udienza con Zampetti, annunciando in tv la scelta del generale dei carabinieri Sergio Costa come futuro ministro dell'Ambiente, come se, dopo una pre-consultazione, avesse avuto un placet dalla presidenza della Repubblica.
Tra voci, smentite e polemiche, gli altri nomi della squadra vengono distillati poco alla volta, per mantenere alta l'attesa mediatica. Quattro però spuntano tutti insieme a Dimartedì su La7. Sono Pasquale Tridico, docente di Economia a Roma Tre, destinato al Lavoro, Alessandra Pesce, dirigente del ministero dell'Agricoltura di cui dovrebbe diventare il numero uno, Giuseppe Conte, professore di diritto privato, candidato alla «Pubblica amministrazione, deburocratizzazione e meritocrazia», e Lorenzo Fioramonti, professore di Economia politica all'università sudafricana di Pretoria, scelto da Luigi Di Maio come ministro dello Sviluppo economico. Personaggi esterni, rassicuranti, funzionali alla strategia di un movimento che non vuole restare per sempre all'opposizione. M5s punta ad essere il 5 marzo primo partito e a ottenere quindi un mandato, anche solo esplorativo. Persino un giro di valzer, organizzato tanto per bruciarlo, a Gigi Di Maio andrebbe bene. Significherebbe almeno rompere un tabù, creare un precedente.
Da qui la frenesia di scattare per primi, il tentativo di mettere Mattarella quasi di fronte a un fatto compiuto. «Non vogliamo condizionare il presidente», dice il grillino Alfonso Bonafede, e Di Maio sostiene che «il Quirinale non è irritato» per le iniziative M5s. «A me non risulta che il presidente abbia vissuto questa cosa come una scortesia, so bene quali siano le sue prerogative e le rispetto». Il capo dello Stato non sembra comunque disposto a fare ancora da sponda. Certo, se dalle urne non verrà fuori una maggioranza chiara, il coinvolgimento dei Cinque Stelle può essere una carta da giocare. Ma tutto ciò avverrà semmai dopo, a tempo debito, seguendo le regole della democrazia vera e non quella virtuale.
Piuttosto, qualche malumore si registra nella
base del movimento e tra i deputati, tenuti all'oscuro. «C'è stata poca condivisione. Forse li hanno tenuti segreti per non farli massacrare, come è capitato per molti candidati all'uninominale. Speriamo non succeda dopo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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